Assuefarsi al male

 

Quando il male diventa normale

 

Bossinormale

Esistono figure umane che rimangono vive nel cuore anche se sono da anni scomparse. Una di esse che mai potrò dimenticare, di mestiere  faceva il dattilografo in polizia.

L’ho frequentato per anni: era un uomo di profonda e naturale bontà. Era generoso, disponibile con chiunque avesse bisogno di lui e la sua fede era sincera e totale come quella di un fanciullino innamorato dei suoi genitori. Un giorno mi narrò un episodio al quale aveva assistito di persona nell’ufficio del tenente di polizia. Mi disse grosso modo:

“In quel grosso stanzone eravamo in tre. Il tenente, un colosso alto quasi due metri,  un giovane balordo ed io seduto davanti ad una Olivetti per trascrivere l’interrogatorio.

Era stato compiuto un furto e il tenente aveva la convinzione che era stato proprio lui ma non possedeva alcuna prova. L’ufficiale quindi lo interrogava e quando la risposta gli pareva elusiva o falsa gli mollava un manrovescio che lo faceva stramazzare al suolo intontito.  Quando si rialzava gli riponeva la domanda e se la risposta non era soddisfacente ripeteva la violenza. Andò così per l’intera mattinata”. E nel raccontare il bravissimo fratello, rideva, rideva, rideva.

La bontà di quel fratello e la sua fede non erano finte ma la cultura nella quale quella fede si calava veniva da una formazione intellettuale poliziesca autoritaria, violenta, punitiva, vendicativa. Un atteggiamento abbastanza diffuso in quei tempi che ancora sapevano di fascismo tra polizia e devianti indagati.

Quel balordo, non era più un uomo, causa quella cultura nessuna dignità umana, nessuna possibilità di redenzione.

Certo il dubbio che non fosse lui il colpevole del crimine per cui veniva interrogato  esisteva ma, il fatto che fosse un balordo giustificava la violenza usata per appurare l’accaduto, anche se nello specifico era innocente.

E di questi giorni la notizia che negli USA due detenuti da 21 anni sono stati scarcerati perché scoperti innocenti, 21 anni dopo. E’ accaduto anche con dei condannati a morte.

Ho pensato per un attimo se fosse capitato a me che non riesco a stare più di due ore neppure in una stanza e che in casa mia, dove l’amore famigliare e l’amore di Dio non sono cose finte, non riesco a starci due giorni interi senza uscire. 21 anni  privato della libertà, innocente. Mi vengo i brividi al solo pensarlo.

Inoltre a quel tenente, che tutte le domenica andava con la famiglia a Messa e quel bravo fratello che tutti i sabati frequentava il culto, non veniva certamente in mente che Gesù visitò i pubblicani e le prostitute, gli zeloti, e un ladrone perfino dalla croce e che oltre la giustizia, la redenzione è al centro della fede cristiana. Che perfino la legge di Mosè con il suo “Occhio per occhio dente per dente” prevedeva una punizione pari non superiore alla colpa. E nel caso non era certo che colpa ci fosse.

Ma non immaginavano nemmeno che così facendo caricavano il cuore di quel giovane d’odio, che lo costringevano  per sempre nella patria del crimine e che ogni ceffone diventava per lui  una ragione forte per dividere il mondo in uomini e sbirri.

In quella stanza di polizia si consumava ancora il male grande della tortura come normale metodo istruttorio. Appena un secolo prima – ma ancora oggi in tante parti del mondo – si usavano strumenti di tortura assai peggiori dei possenti ceffoni soprattutto nelle istituzioni cristiane. Savonarola ne fu oggetto e per un momento rinnegò ciò in cui credeva.

Uomini di preghiera e di fede trovavano la cosa lecita nel supremo scopo di eliminare il male. L’uomo che avevano davanti, la persona umana non era soggetto ma oggetto in funzione della società e della storia. La persona non contava più nulla non appena fosse sospettato di male.

Il tenente, pur entro certi limiti impostogli dalla legge, era erede e discepolo degli antichi inquisitori.

Il bravo fratello raccontandolo rideva. Si era abituato a quel male. Non lo riconosceva più come male. Anzi, quel male era ciò che ci voleva per affermare l’onestà nella società. Quel male era diventato bene, rientrava nella normalità della tradizione culturale fascista che ancora resisteva in molti ambienti.

E il nostro fratello che tante cose aveva sinceramente recepito dell’Evangelo, quel particolare vitale non gli era stato ancora reso orrido dalla luce.

La Cultura nella quale sguazziamo ogni giorno per forza di cose – non potremmo sottrarcene anche se volessimo –  non è peggiore complessivamente di quella dei secoli passati. Ma certo anche il nostro secolo è malvagio come tutti i secoli e l’assuefazione al male è la tentazione di ogni giorno. Ogni secolo ha i suoi mali specifici.

Tra i molti mali di oggi ai quali è difficile sottrarsi c’è quello di un certo linguaggio riferito agli esseri umani.

E’ spesso un linguaggio da suburra, un tempo adoperato nelle bettole, oggi viene usato pubblicamente da politici famosi, da attori, da presenzialisti televisivi. Addirittura, per un certo tempo, regolari emissioni sono stati messi a disposizione di personaggi resi famosi dall’abitudine al turpiloquio in cui gli avversari  furono spesso equiparati allo sterco ma senza eufemismi.

Un giorno era a Roma sulla Metro, due ultrà parlavano tra loro della partita del giorno prima. La loro squadra aveva perso, aveva segnato due gol un atleta serbo. Uno dei due aggiunse: “Quel serbo di m.!”

Conosco abbastanza bene quel calciatore; è un atleta serio, corretto. Com’è che diventa di sterco perché ha segnato alla nostra squadra? E’ un modo di ragionare da imbecilli.

Ma l’equazione non dovrebbe mai apparire sulla bocca di un cristiano, giovane o adulto che sia neppure per ragioni meno cretine. Un uomo deve conservare nel nostro cuore la sua dignità a prescindere, sempre, settanta volte sette. Poiché le parole che pronunciamo sugli altri deformano prima di tutto noi stessi, diluiscono il nostro grado di giustizia e d’amore che dovrebbe essere sempre redentivo e universale e la sacralità della visione dell’uomo e preparano la strada ad azioni che prima o poi concretizzano il senso delle parole.

Facebook è uno straordinario strumento capace di comunicare in tempo reale sentimenti, esperienze, stati di animo, incoraggiamento, testimonianza… Ma come tutti gli strumenti umani può essere utilizzato per aumentare la stupidità, per dare sfogo a ignobili atti di cinismo. La sua velocità superiore a quella del cervello lascia spesso partire parole che dal cervello non sono passate e qualche volta da menti che assuefatte al male non lo distinguono più come tale.

Qualche volta provo vergogna e rimorso nel vedere nostri giovani usare linguaggi da bassifondi, da ultrà cretini che non esitano a paragonare esseri umani allo sterco. Pur senza mai arrivare a giudizi sommari, io credo che dobbiamo fraternamente, paternamente  sempre reagire e ricordare la speranza alla quale siamo chiamati e la sacralità che il nostro sommo Maestro conservava e conserva della persona umana.

Poiché, la storia insegna, che spesso alle parole, alla parola che forma e sforma, segue la sua concretizzazione civile e politica e ritornare, anche nel linguaggio, all’Evangelo la cui Parola crea, annuncia, redime, ama.

 Ora invece deponete anche voi tutte queste cose: ira, collera, malignità, calunnia; e non vi escano di bocca parole oscene… Il vostro parlare sia sempre con grazia, condito con sale.  ( Colossesi 3:8 4:6)

 

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