Ho combattuto

Ho combattuto il buon combattimento della fede
2Timoteo 4:1-8

2Timoteo 4:1 Io te ne scongiuro nel cospetto di Dio e di Cristo Gesù che ha da giudicare i vivi e i morti, e per la sua apparizione e per il suo regno:
2Timoteo 4:2 Predica la Parola, insisti a tempo e fuor di tempo, riprendi, sgrida, esorta con grande pazienza e sempre istruendo.
2Timoteo 4:3 Perché verrà il tempo che non sopporteranno la sana dottrina; ma per prurito d’udire si accumuleranno dottori secondo le loro proprie voglie
2Timoteo 4:4 e distoglieranno le orecchie dalla verità e si volgeranno alle favole.
2Timoteo 4:5 Ma tu sii vigilante in ogni cosa, soffri afflizioni, fa’ l’opera d’evangelista, compi tutti i doveri del tuo ministero.
2Timoteo 4:6 Quanto a me io sto per esser offerto a mo’ di libazione, e il tempo della mia dipartenza è giunto.
2Timoteo 4:7 Io ho combattuto il buon combattimento, ho finito la corsa, ho serbata la fede;
2Timoteo 4:8 del rimanente mi è riservata la corona di giustizia che il Signore, il giusto giudice, mi assegnerà in quel giorno; e non solo a me, ma anche a tutti quelli che avranno amato la sua apparizione.

Questo brano è inscritto in una lettera, indirizzata da Paolo forse al discepolo più amato in previsione della morte che sente vicina, ma non senza ancora una pur flebile speranza di vita: Paolo spera infatti ancora di leggere, di scrivere, di predicare, di rivedere l’amato Timoteo: ai vers. 13 e 21 gli scrive :
“Quando verrai porta il mantello che ho lasciato a Troas da Carpo, e i libri, specialmente le pergamene…Studiati di venire prima dell’inverno.”

Ma questa lettera sarà la sua ultima e Paolo non raggiungerà l’inverno, non rivedrà più l’amato Timoteo e la sua sensazione della morte imminente si rivelerà esatta: la più grande figura del cristianesimo dopo Gesù Cristo sarà decapitato, probabilmente sulla strada di Ostia tra il 62 e il 67.

Secondo le ricostruzioni più attendibili l’ultima fase della sua vita si sarebbe svolta secondo questi tempi:
Sarà stato arrestato nel 57 nel tempio dai suoi connazionali e come Gesù: verrà dato nelle mani dei romani; Resterà carcerato a Cesarea sino al 59, raggiungerà Roma nel 60. Sarà posto agli arresti domiciliari in attesa del processo e renderà questo periodo fecondo scrivendo le epistole ai Filippesi, ai Colossesi, agli Efesi. Nel 62 sarà assolto al primo processo e rifarà un viaggio missionario, probabilmente in Spagna e scriverà la prima epistola a Timoteo, poi quella a Tito. Nel 64 avviene l’incendio di Roma di cui furono accusati i cristiani; Paolo, secondo Eusebio, ritorna coraggiosamente nel 66 per rimettere assieme la chiesa e viene arrestato per la seconda volta. Tra il 66 e il 67 scrive la seconda lettera a Timoteo presagendo le maggiori difficoltà del secondo processo.

In questa sua ultima fatica il vecchio Paolo non si smentisce, rimane coerente con se stesso, e nel brano in questione afferma : ho finito la corsa o serbata la fede mi è riservata la corona di giustizia riservata non solo a me, ma a tutti quelli che avranno amato la sua apparizione.

In questo brano, paradossalmente, l’apostolo della libertà, della gratuita, della salvezza per sola grazia, parla da guerriero, anche se da guerriero stanco, assai preoccupato delle sorti del popolo di Dio che aveva contribuito a formare, e un poco deluso anche da molti uomini che egli stesso aveva portato a Cristo: “Tu sai questo: che tutti quelli che sono in Asia mi hanno abbandonato; fra i quali, Figello ed Ermogene.” (2Timoteo 1:15).

In questa lettera, Paolo appare così preoccupato delle sorti della chiesa, della sua disciplina interna, che diversi studiosi della sua opera vedono questo scritto come non suo, poco degna del campione della libertà quali si rivelerebbe invece nei suoi più straordinari affreschi, come ai Galati e ai Romani.

Colpisce la sua insistenza sulla difesa della sana dottrina che definisce con un immagine ricavata dal diritto romano: deposito ( I Tim.6:20, 2Tim.2:2; 2 Tim.2:11-14). Il deposito “Rappresentava una forma di contratto molto vincolativa: per esso il depositario si impegnava a custodire tale e quale l’oggetto affidatogli e a riconsegnarlo dietro richiesta del proprietario.”.

A me invece, Paolo appare il Paolo di sempre con una comunità già fondata da gestire: nessun contadino che pianta la vigna compie gli stessi gesti del contadino che la difende dalla grandine.

Alberto Soggin noto studioso valdese scrive “Tutte le pastorali si possono considerare una messa in guardia contro l’eresia” Particolarmente quelle: spiritualistiche riguardanti il matrimonio, le ascetico-alimentari di origine giudaica, l’esoterismo, l’immoralità, l’anarchia.

Dopo avere elencato le infezioni che la chiesa poteva contrarre, Paolo incita Timoteo – forse eccessivamente mite – a che divenga il guerriero che non è, che è necessario che sia, che lui è stato sin qui e che rimane tale in catene: poiché, afferma: “Poiché Iddio ci ha dato uno spirito non di timidità, ma di forza e d’amore e di correzione.”

Poi aggiunge: “Sopporta anche tu le sofferenze, come un buon soldato di Cristo Gesù. Uno che va alla guerra non s’impaccia delle faccende della vita; e ciò, affin di piacere a colui che l’ha arruolato. Parimente se uno lotta come atleta non è coronato, se non ha lottato secondo le leggi. Il lavoratore che fatica dev’essere il primo ad aver la sua parte de’ frutti.” (2Timoteo 2:3-6)

Paolo incita Timoteo a vestire i panni scomodi : Del soldato che va alla guerra e che mette in conto le sofferenze, Dell’atleta che va alle olimpiadi, Del lavoratore che fatica. Un quadro dominato dalla concentrazione, dalla lotta e dalla sofferenza, assai diverso degli schemi psicologisti serafici e riposanti di certe letture cristiane.

Paolo, Ha dovuto predicare questo messaggio di pace con la spada in pugno, come un autentico guerriero: Non è difficile rilevare nella sua opera i tratti guerrieri del suo ministero le cui polemiche sono spesso roventi.

In seconda Corinzi elenca polemicamente e ironicamente le sofferenze subite: “Dai Giudei cinque volte ho ricevuto quaranta colpi meno uno: tre volte sono stato battuto con le verghe; una volta sono stato lapidato; tre volte ho fatto naufragio; ho passato un giorno e una notte sull’abisso. Spesse volte in viaggio, in pericoli sui fiumi, in pericoli di ladroni, in pericoli per parte de’ miei connazionali, in pericoli per parte dei Gentili, in pericoli in città, in pericoli nei deserti, in pericoli sul mare, in pericoli tra falsi fratelli; in fatiche ed in pene; spesse volte in veglie, nella fame e nella sete, spesse volte nei digiuni, nel freddo e nella nudità. … E per non parlar d’altro, c’è quel che m’assale tutti i giorni, l’ansietà per tutte le chiese.” (2Corinzi 11:24-28)

L’epistola ai Galati, è uno scritto talmente duro e polemico, anche se tessuto su uno sfondo di tenerezza quali si pongono tutti gli scritti dei profeti, che non inizia neppure con un saluto ma con l’affermazione della sua autorità apostolica: Paolo, apostolo non dagli uomini né per mezzo d’alcun uomo, ma per mezzo di Gesù Cristo e di Dio Padre che l’ha risuscitato dai morti (Galati 1:1).

Poi lo scritto prosegue con un doppio anatema verso coloro che hanno sviato le comunità della Galazia:
Ma quand’anche noi, quand’anche un angelo del cielo vi annunziasse un vangelo diverso da quello che v’abbiamo annunziato, sia egli anatema. Come l’abbiamo detto prima d’ora, torno a ripeterlo anche adesso: Se alcuno vi annunzia un vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia anatema. (Galati 1:8-9)
Poi afferma con decisione la sua intransigenza: E questo a cagione dei falsi fratelli, introdottisi di soppiatto, i quali s’erano insinuati fra noi per spiare la libertà che abbiamo in Cristo Gesù, col fine di ridurci in servitù.
Alle imposizioni di costoro noi non cedemmo neppur per un momento, affinché la verità del Vangelo rimanesse ferma tra voi. (Galati 2:4-5)

Alla fine di una dura filippica dottrinale, gli scappa perfino un augurio ironico e pesante, al limite del volgare: Si facciano pure evirare quelli che vi turbano! (Galati 5:12)

Paolo non potè che essere un guerriero per una ragione generale oggettiva e per quattro ragioni circostanziali e soggettive: I tratti guerrieri accompagnano sempre chi non si adegua alla mediocrità dell’esistente, e si fa portatore di una proposta nuova e migliore, in qualunque campo.

Laddove si rinuncia alla fermezza e alla lotta, la Buona Novella di cui si è alfieri fatalmente muore. Tutti i “santi”, in vita hanno incontrato sempre difficoltà nella loro stessa casa spirituale. All’origine di ogni movimento di valore troviamo dei guerrieri: Pietro Valdo, Lutero, Calvino, Wesley, James White… I Don Abbondio, con il loro bisogno di quieto vivere non hanno mai creato nulla e normalmente umiliano e sperperano poi i patrimoni ricevuti e faticosamente guadagnati.

Strani guerrieri i guerrieri della fede che amano soltanto la pace. Paolo, combattente che ama la pace è stato costretto alla guerra da almeno tre motivi.
1 – Scomodo alle due culture cui appartenevano i suoi interlocutori. Lo afferma inequivocabilmente all’inizio della prima epistola ai Corinzi: “ma noi predichiamo Cristo crocifisso, che per i Giudei è scandalo, e per i Gentili, pazzia.” (Cor. 1:23)
Il messaggio di cui Paolo era araldo era scomodo alla Cultura ebraica per due motivi di fondo: la visione messianica il cui modello era per Paolo Isaia 53 e che per il pensiero dominante ebraico era il Davide guerriero, assai vicino a ciò che sarà nella persona di Maometto il modello islamico. La visione delle finalità e della funzione stessa della legge.
La proposta cristiana era anche scomoda alla cultura greco romana per la radicale diversa visione del mondo. Basti soltanto pensare al culto della forza e delle armi, alla schiavitù che in 1 Timoteo 1:9-10 è associata al sacrilegio, all’omicidio, al matricidio e al parricidio; per la visione della natura dell’uomo, per la diversa visione morale: il mondo greco romano tollerava ampiamente perfino la pedofilia. Ma anche e soprattutto per la radicalità della visione della divinità, amorevole sino alla croce, unica, gelosa nella visione cristiana e per la negazione delle divinità romane.

2 – I germi di morte presenti in ogni costruzione spirituale, anche nelle sue tutte le rivoluzioni, compresa quella cristiana trovano aderenti che le accettano fraintendo le sue finalità il suo progetto di base. Accade ad un numero rilevante di quanti seguirono Mosè dall’Egitto verso la terra promessa e poi divennero rivoltosi (2 Timoteo 3:2.8), ma successe a molti nel primo cristianesimo anche tra quelli da lui stesso preparati al nuovo percorso di fede. Le epistole ai Galati e ai Corinzi lo dichiarano, e l’episodio di Atti 20 ne costituisce una prova drammatica; agli anziani di Efeso Paolo ebbe a dire: “Io so che dopo la mia partenza entreranno fra voi de’ lupi rapaci, i quali non risparmieranno il gregge”. E dovette prevenire Timoteo sui falsi dottori che già si affacciavano sulla soglia della chiesa: “Per prurito d’udire si cercheranno maestri secondo le proprie voglie…”
Ciò che con Giuda era accaduto a Gesù si ripeterà nell’esperienza del primo cristianesimo (Anania e Saffica) e in quella di Paolo che sarà costretto a lottare contro il tradimento di suoi stretti collaboratori: poiché Dema, avendo amato il presente secolo, mi ha lasciato e se n’è andato a Tessalonica.(2Timoteo 4:10) E, Alessandro il ramaio, mi ha fatto del male assai. Il Signore gli renderà secondo le sue opere.(2 Timoteo 4:14)

3 – la condizione fisica personale. Paolo è stato tutta la vita malato di una infermità umiliante (tanto da ringraziare i galati per averlo accolto superando il naturale ribrezzo che avrebbero potuto provare per lui: “e quella mia infermità corporale che era per voi una prova, voi non la sprezzaste né l’aveste a schifo; al contrario, mi accoglieste come un angelo di Dio. Come Cristo Gesù stesso.”(Galati 4:14)
Di questo grave problema avrà a scrivere: “E perché io non avessi ad insuperbire a motivo della eccellenza delle rivelazioni, m’è stata messa una scheggia nella carne, un angelo di Satana, per schiaffeggiarmi ond’io non insuperbisca. Tre volte ho pregato il Signore perché l’allontanasse da me; ed egli mi ha detto: La mia grazia ti basta, perché la mia potenza si dimostra perfetta nella debolezza. Perciò molto volentieri mi glorierò piuttosto delle mie debolezze, onde la potenza di Cristo riposi su me.” (2Corinzi 12:7-9)

Dall’incontro con il Paolo guerriero possiamo dedurre un messaggio per la chiesa di oggi:

1 – La chiesa non può essere necessariamente sempre l’oasi serena, il famoso “Cinar” nel caos della vita moderna, ma ospiterà sempre una problematicità fisiologica, non solo a causa della diversità umana, che è ricchezza, ma anche a causa del peccato che non è possibile a nessuno tener completamente fuori dalle sue porte. Timoteo sarà chiamato a combattere anche dentro la stessa chiesa poiché nella sua comunità con i figli di Dio autentici convivono personaggi la cui: “… parola andrà rodendo come fa la cancrena; fra i quali sono Imeneo e Fileto; uomini che si sono sviati dalla verità, dicendo che la risurrezione è già avvenuta, e sovvertono la fede di alcuni. Or in una gran casa non ci sono soltanto dei vasi d’oro e d’argento, ma anche dei vasi di legno e di terra; e gli uni sono destinati a un uso nobile e gli altri ad un uso ignobile.( 2Timoteo 2:17-20-21)

2 – la chiesa deve essere in primo luogo un terreno di Fede e di speranza, poi di pace e di comunione, ma lo sarà nella misura in cui avrà dei guerrieri come Paolo che amano la pace ma non a prezzo della fedeltà ai valori fondanti dell’Evangelo, della dignità, della libertà e della giustizia. Paolo non potrà non raccomandare a Timoteo: “Custodisci il buon deposito per mezzo dello Spirito Santo che abita in noi Ti scongiuro predica la Parola.” (2Timoteo 1:14)

3 – Il Ministero pastorale è un ministero di responsabilità verso la Verità, i valori e la speranza che scaturiscono dalla Rivelazione. Non ha nulla a che vedere con gli animatori delle crociere o dei villaggi vacanza il cui ruolo è di tenere allegra la comitiva. Il ministero pastorale è un ministero orientato da valori e mete… E’ costretto ad essere in certe circostanze anche un ministero guerriero.

4 – La vita cristiana ha al suo centro la speranza che scaturisce dalla grazia di Dio e si alimenta tramite la fede. Esse può beneficiare anche la salute fisica, ma non è un messaggio soprattutto salutistico e naturistico, non possiede ricette del benessere, a meno che non sia frutto di una lettura borghese di comodo del testo biblico che esaspera aspetti complementari e periferici del messaggio cristiano, tralasciandone elementi centrali.
Essenziale in questo percorso faticoso è la fede, la fiducia, la relazione con l’autore di questo straordinario progetto di rinnovamento cosmico; essenziale è il proprio posto in questo piano che può anche essere sofferente. La fede, la grazia, possono aiutare la salute ma possono rivelarsi impotenti contro la malattia e la sofferenza e, qualche volta, aumentando la sensibilità verso le pene degli uomini e l’ingiustizia sono in grado anche addirittura aumentare la sofferenza. A Paolo che molto soffriva e chiedeva d’essere liberato almeno dalle sofferenze fisiche, Dio ebbe a rispondere: “La mia grazia ti basta”

La seconda lettera a Timoteo ribalta molti luoghi comuni sul cammino della chiesa, sulla vita cristiana, sull’essenziale della fede. Ma alla fine di una riflessione sul combattimento nella fede e sui tratti guerriere che furono richiesti a Paolo, ci pare opportuno terminare con la stupenda speranza che animò l’intero suo ministero e tutta la sua esperienza umana, riguardo una profezia mille volte realizzata, sulla potenza della Parola di cui ogni credente è messaggero:

“Io soffro afflizione fino ad essere incatenato come un malfattore, ma la parola di Dio non è incatenata.” (2Timoteo 2:9)

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