Il Mulino sul Colognati Romanzo

A SEGUIRE:

Dati essenziali

Sintesi del romanzo

Interventi critici

Apprezzamenti da parte dei lettori

Reazioni della stampa

 

 

DATI ESSENZIALI

Il mulino sul Colognati
UNA STORIA CALABRESE
Ferrari editore 2007
250 pagine euro 15/12
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SINTESI DEL ROMANZO

Il Mulino sul Colognati è un viaggio, tra il sogno e la realtà, della memoria e dell’anima nell’infanzia, nella Calabria rurale dal 1949 al 1958, poco prima che i contadini abbandonassero in massa le campagne per le fabbriche del nord Italia e del nord Europa e morissero alla loro identità, al loro mondo e alla loro cultura secolare, pur intrisa di povertà e di dolore.
Il Mulino sul Colognati evoca quel mondo e quella cultura raccontando l’esperienza di un ragazzino tra i sei e i quattordici anni.
Narrando gli eventi gioiosi e dolorosi che lo coinvolgono, ma anche l’atmosfera di quella terra, i suoi valori, i suoi miti, tra realtà e fantasia, tra storia e leggenda, l’autore riporta alla memoria un tempo e un mondo, radici, che abbiamo bisogno di non dimenticare.
Tutto è ambientato a Rossano calabro, per secoli, forse la più sicura fortezza della magna Grecia; certamente uno degli acrocori più caratteristici dell’intero meridione. Ma le vicende narrate, quella cultura e quei paesaggi, con pochissimi ritocchi secondari potrebbe corrispondere a qualunque piccolo centro del meridione rurale di quegli anni.

L’autore, per evocare la magia di quel tempo e di quel mondo, ha voluto parlare di ogni protagonista particolarmente significativo, persona, luogo o cosa, nominandoli attraverso la forma dialettale.
Il racconto attinge a piene mani a elementi autobiografici, però senza asservimento, come il pittore ai colori, rigorosamente, solo quando l’affresco che ha in mente li impone.

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INTERVENTI CRITICI

 

  Testo del’intervento presentato a Milano dallo scrittore prof. Calaldo Russo allora Presidente del Comprensorio Gerolamo Cardano di Milano.

 

Il titolo del romanzo di Rolando Rizzo fa pensare, di primo acchito, a  The Mill on the Floss di George Eliot, romanzo inglese del 1860. George  Elliot  è lo pseudonimo di Mary Anne Evans, da non confondere con Thomas Stern Eliot, vincitore del Premio Nobel per la poesia negli anni ’50, con il poemetto La Terra Desolata. Se  i titoli si assomigliano, in realtà si tratta di due libri diversi anche se, qua e là, non manca qualche punto in comune. In primo luogo Il Mulino sulla Fossa è un romanzo ambientato nell’Inghilterra Vittoriana,  in piena Rivoluzione Industriale, e tratta la storia di una famiglia inglese che da cinque generazioni possiede e manda avanti il Mulino Dorlcote situato sul fiume FlossIl Mulino sul Colognati , al contrario è ambientato a Rossano Calabro tra gli inizi degli anni ’40 e la fine degli anni ’50, un periodo particolare attraversato da un lato dagli orrori dei campi di concentramento e da una guerra lunga, spietata che semina morte ovunque e dall’altra dalla  Lotta di Liberazione e da un nuovo Rinascimento che ha nella voglia della ricostruzione il suo fulcro. Gli anni ’50 sono anche gli anni che nel Sud segnano il passaggio dalla civiltà contadina alla civiltà del boom economico, senza tuttavia attraversare la fase di una vera e propria rivoluzione industriale. I protagonisti de Il Mulino sulla Fossa sono prevalentemente due,   cui sicuramente fanno da contorno molti altri, Tom e Maggie, mentre il Mulino sul Colognati, pur incentrandosi sulle vicende umane e sociali di Rolannuzzo e di alcuni componenti della sua famiglia, ha una coralità più ampia, in quanto il protagonista vero del romanzo è Rossano con le sue contraddizioni, le sue bellezze, la sua lunga e affascinante storia, crogiolo di tante civiltà,  e i suoi fermenti sociali. I protagonisti del romanzo di Rizzo assomigliano poco, come si è detto, ai protagonisti del romanzo di Eliot. Qualche affinità di carattere forse potremmo trovarla tra alcune scelte di vita di  Maggie e quelle di Maruzzeddra, la madre di Rolannuzzo. Uscendo dall’ambito del confronto, perché non serve per corroborare il romanzo di Rizzo, che non ha bisogno di appoggi in quanto si regge bene da solo, devo dire che la prima cosa che colpisce è la scrittura assolutamente ritmata, a volte tambureggiante, che raramente cede a quei compiacimenti letterari e culturali che spesso appesantiscono tanta narrativa italiana, anche di autori più affermati. Rolando Rizzo usa la penna con la stessa abilità con cui i grandi pittori impressionisti francesi usavano i pennelli e dosavano i colori.

Il Mulino sul Colognati, non è un romanzo autobiografico. Dal punto di vista del genere lo definirei romanzo della  memoria con forti accenti e connotazioni di tipo sociale. Non è un romanzo autobiografico perché l’autore non vuole incentrare l’attenzione del lettore sulle proprie  vicende personali, che pure hanno grande risalto,  ma sulla vita di un intero contesto sociale per recuperarne la memoria e l’identità che il tempo e i cambiamenti rischiano di compromettere definitivamente. Inoltre, la cronologia e la scansione degli eventi non hanno quella schematicità che è tipica del romanzo autobiografico, in quanto il ricorso costante alla  memoria e il piacere di condividere le esperienze e le sensazioni con gli altri personaggi  fanno sì che il libro esca dall’ambito cronachistico/ biografico per proiettarsi in una dimensione più corale e sociale. Sarebbe un errore, quindi, avvicinarsi alla lettura di questo romanzo pensando che gli accadimenti debbano essersi necessariamente verificati alla luce di quello che è pubblicamente saputo sull’autore, o che il lettore pretende di conoscere.  Il Mulino sul Colognati  consta di 15 capitoli, ognuno dei quali evoca, attraverso la memoria, il contesto sociale e i protagonisti che scandiscono il passaggio di Rolannuzzo  dall’infanzia alla pubertà. Personalmente preferirei  vedere il romanzo come costituito da tre momenti essenziali.

La prima parte ha come protagonista assoluto Il Pesco, una vasta tenuta con un’ampia aia, sulla quale durante la bella stagione  si svolgono  anche momenti di festa con musica e balli al ritmo della fisarmonica suonata con maestria da  ‘u Gobbu, di proprietà dei Tabbatà, una famiglia per la quale l’autore nutre una sincera stima.  Nei pressi di questa tenuta, dove l’autore trascorre alcuni dei momenti più felici della sua vita, scorre il Colognati, un torrente impetuoso alimentato dalle acque della Sila, che fanno girare le macine del mulino dove zu Peppu ‘u mulinaru , il nonno, vive la sua esistenza fra stenti e timori, ma anche circondato dall’amore dei familiari e  dalla rigogliosa e splendida natura che fa da sfondo al mulino. Il Colognatu,  per ‘zu Peppu , è più di un torrente, è un amico, un vero amico  e gli amici non possono tradire.

Non temere- mi disse. – ‘U  Colagnatu è amico mio; non ingrosserà oltre altrimenti mi avvertirebbe tramite le nuvole. Piove solo come quando è agosto, la neve in Sila in questa stagione è poca ed è già quasi tutta scesa.

– Amico tuo? Ma i fiumi non hanno amici?-

-Sì che li hanno! Sono i mugnai; il fiume è stato amico antico dei miei padri e sarà anche amico tuo se sarai mugnaio.

Una delle caratteristiche più significative del libro è questa specie di dialogo costante che si stabilisce fra la natura e gli uomini, una sorta di simbiosi che è tipica delle civiltà contadine. È a questo periodo che risalgono alcune esperienze significative di vita da parte di Rolannuzzo, nonché la riscoperta dell’amicizia, in particolare con Pinuzzo, e dell’amore verso la bella Ninuzza dagli occhi neri e profondi.

La vita cambia presto per il protagonista quando la madre, una donna passionale, intelligente, forte di carattere- è forse questo l’aspetto che più fa assomigliare Maruzzeddra a Maggie– , in un momento di debolezza si concede al nipote Francuzzo, più giovane di lei. L’affronto per Totonnu è così grande che non sa darsi pace, ed è solo la fede in Dio e nella  Bibbia, che non solo legge ma  i cui comandamenti mette anche in pratica, che l’uomo non cede alla legge imperante in quell’angolo di mondo di farsi giustizia da solo. La vita a Rossano non è facile, ma sicuramente serve per temprare Rolanduzzo e fargli prendere coscienza della sua intelligenza e delle sue capacità. La frequentazione della Chiesa Vangelista gli offre la possibilità di avvicinarsi al mondo magico della lettura e della cultura. Un incontro importante di questo periodo è quello con Nicu Pascu, una sorta di barbone che vive ai margini della società rossanese, da quando una delusione amorosa gli ha spento ogni interesse ed entusiasmo verso la vita. Quest’uomo dotato di grande cultura e di fine intelligenza, che sopravvive grazie alla generosità dei rossanesi che non gli lesinano mai un piatto di minestra, non solo sostiene Rolannuzzo nell’avventura dell’apprendimento  ma gli insegna a non fermarsi mai alle apparenze, ma ad andare sempre oltre. Il destino di Rolannuzzo è però segnato dallo spettro della povertà che incombe su tutta Rossano e in particolare sulla sua famiglia. Durante il periodo della scuola dell’obbligo, il padre lo indirizza presso varie botteghe artigianali affinché possa imparare un mestiere e aprire bottega un giorno. Come la maggior parte dei ragazzi di quel periodo,  passa da una bottega ad un’altra, dimostrando capacità e intelligenza, ma non passione vera per l’artigianato. La sua passione è un’altra e la seguirà fino in fondo.  Nella terza parte del libro Rolannuzzo  ormai dodicenne, si trasferisce insieme al padre a ru Crucifissu, una contrada distante un paio di chilometri da Rossano. È una scelta obbligata, non gradita al ragazzo, in quanto il padre stanco di vivere da solo decide di unirsi a Erminia ‘a Buonanima, una donna crudele e violenta, che non gli risparmia botte e maltrattamenti. Qui Rolannuzzo sperimenta le durezze della vita. Lo sfruttamento, da parte di datori di lavoro avidi e senza scrupoli, i morsi della fame, il furto e la ribellione verso la matrigna sempre più crudele e sadica non solo verso di lui ma anche verso il proprio figlio Ciruzzo.

Il romanzo di Rizzo è come una serie di scatole cinesi dove ognuna di queste scatole contiene una storia personale di cui probabilmente nessuno avrebbe mai parlato. Il romanzo, a mio avviso, è anche la metafora di tre momenti della vita del protagonista: l’infanzia, la presa di coscienza, la decisione/reazione.

 

 

 

Intervento di Franca Di Lecce direttrice servizio migranti della FCEI

Pronunciato a Roma il 19 gennaio 2009 nella Sala conferenze della Confesercenti,via Nazionale, 60 Roma

 

 

Ho accolto con grande piacere questo invito e per diverse ragioni. Molte di queste le ho scoperte strada facendo.

In primo luogo, lavoro con migranti e rifugiati, persone che lasciano il loro paese, ch eemigrano in cerca di un futuro migliore altrove.

Le loro storie sono storie dolorose, storie di migrazioni forzate, povertà guerre e persecuzioni. Lo sradicamento diventa la loro ondizione esistenziale e spesso l’emigrazione viene vissuta come perdita individuale: i migranti rimangono spesso inchiodati tra due mondi a cui non appartengono più interamente. (stranded migrants, migranti arenati in secca, termine marinaro usato dalla lingua inglese), sono persone in perenne in esilio per lo scarto doloroso tra due appartenenze.

 

Dunque mi sono accostata a questo libro con quest’occhio direi “esterno”, professionale, mi sono preparata a leggere una storia di emigrazione , questa volta una storia calabrese.

Quest’occhio, questo sguardo l’ho abbandonato presto.

In realtà il tema delle migrazioni fa da sfondo alò romanzo e costituisce una sorta di cornice, perchè il contesto storico sociale in cui si inserisce la storia narrata è quella appunto che porterà alla grande ondata migratoria degli Anni Cinquanta- Sessanta dal sud dell’Italia  verso il Nord Europa.

Sul finire degli Anni Cinquanta, il “Pesco” non era più lo stesso perchè tanti sognavano le città del Nord, la Germania, dove si lavorava e si guadagnava. Si cominciava a partire. “E si sbagliava”, dice Rolanduzzu, sbagliavano tutti quelli che partivano e li definisce sradicati due volte: “non riuscirà mai ad essere milanese, torinese o americano e mai più potrà tornare ad essere completamente rossanese….Chi parte in genere non torna e se torna è un altro”. In realtà Rolanduzzu sperimenta l’essere straniero” già in terra propria: “ero già uno straniero a San Marco, sarei stato ancora più estraneo sui colli aridi e solitari a ru Crucifissu. Già all’iniizo Rolanduzzu, che deve lasciare il mulino, dice “ Fui escluso da quel mondo per sempre , senza potervi più fare ritorno, se non nel dolore della memoria, tutti giorni della mia vita”.

 

Dicevo, questo occhio esterno, questo sguardo, l’ho abbandonato presto, o meglio si è alternato ad un occhio interno, empatico e partecipato, e dominante per diverse ragioni, alcune delle quali desidero condividere brevemente con voi.

 

Allo steso tempo a me è sembrato che lo steso protagonista  sia dotato di un occhio interno ed uno esterno, entra ed esce nella narrazione, alterna il racconto parlando di “mia madre, mio padre, mio nonno”, che  sono anche “Zu Peppu, Totonnu, Maruzzedda”. Quasi uno sguardo da “fuori” che gli permette la narrazione stessa, la rende universale.

 

Dunque, già subito dall’inzio, ho abbandonato l’occhio esterno e sono entrata nel romanzo: una lettura travolgente poetica, fortemenete evocativa per me che vengo dal Sud, Matera.

La contiguità geografica tra le due regioni, Calabria e Basilicata, non è stata per me semplicemente un’entrata più facile dal punto di vista linguistico e della comprensione del contetso sociale e culturale. C’è un elemento in più che ha reso questa lettura particolarmente intensa e partecipata: sono protestante, sono  “vangelista” per dirla con Rolando Rizzo.

Quando ero bambina a Matera “i vangelisti erano quelli che non bestemmiavano, ma facevano bestemmiare”. “Vangelista” era mio padre e per questo “vangelista” mia madre, di famiglia cattolica, ha rotto i legami con la sua famiglia. Sposare un vangelista sifgnificava negli anni ’60 sfidare un contesto chiuso, autosuffciente e autorefernziale , era una piccola guerra di religione, perchè allora non essere cattolici significava in termini concreti non essere cristiani .L’augurio che mia madre  ricevette da sua madre il giorno delle nozze, mentre si apprestava ad uscire vestita di bianco dalla casa paterna (la accompagnava il fratello minore, il padre non potè reggere l’ontà, né dispiacere a sua moglie)  fu chiaro e deciso: “Ho la fede in Dio che uscirai morta da quella chiesa”.

 

Ma che chiesa era questa?

Vediamo che dice Rolanduzzu a proposito della chiesa dei “vangelisti”: Pg 153 (leggere)

 

Il protestantesimo è dunque:

a) identità appartenenza

b) riscatto sociale e emancipazione, perchè va “Oltre i bisogni materiali”. Mastru Cosimu, “u scarparu”, ignorante e senza strumenti se non quelli del suo lavoro, fa uno splendido conraddittorio con il prete e cita la Costituzione della Repubblica appena approvata. Parla della libertà religiosa!

c) rapporto personale con Dio, scelta personale e libertà di coscienza

d) prospettiva di futuro e di speranza non solo in senso escatologico, ma anche come possibilità di migliorare il proprio presente (Ribaltamento della subalternità e giustizia sociale)

 

A Matera agli inizi del 1900 un certo Luigi Loperfido, tornato dall’America dove era emigrato, con i capelli lunghi e indossando un saio bianco, cominciò a predicare l’uguaglianza, la necessità dell’istruzione, del lavoro retribuito  equamente per tutti.Negli Stati uniti era venuto in contatto con l’ambiente evangelco e nella realtà materana coniugò il messaggio evangelico di giustizia e uguaglianza con le lotta sociali dei contadinii. Fu chiamato il Monaco bianco, costituì la prima Lega dei contadini e e organizzò a Matera il primo sciopero dei braccianti agricoli.

Un episodio finì con l’accreditare la sua predicazione: alla morte di un bracciante il parroco si rifiutò di accompagnare la salma al cimitero, perchè mancavano pochi spiccioli alla somma richiesta peril funerale. La salma passò per le vie di Matera senza accompagnamento religioso, solo un mazzo di fiori di campo. La predicazione evangelica del Monaco bianco entrò nei Sassi e in conflitto con l’autorità della chiesa cattolica. Fondò la chiesa battista dei miei nonni, di mio padre, mia.

 

Il pensiero protestante, dunque, propone un’alternativa, delle soluzioni, una lettura diversa della realtà, direi un pensiero divergente che permette la costruzione di un’identità propria, non quella che ti viene imposta. Un pensiero divergente che permette la crescita e lo sviluppo delle persone, perchè è un pensiero aperto e di esplorazione.

 

A me è sembrato che nella vita di Rolanduzzu il rapporto con i “vangelisti” abbia significato questo. Anche all’inzio quando si dice “il nostro eden non era cirocndato da mura”, parla di uno spazio aperto, non c’è un albero della conoscenza del bene e del male, ma mille e mille alberi e fiori e frutti per tutte le stagioni.-In altre parole si dà spazio al bisogno di esplorazione, dunque alla crescita e allo sviluppo individuale e sociale.

 

Ho trovato molto bello anche il passaggio sull’eccessiva sicurezza della fede vista come un pericolo grande (Pg 220) :”la vera fede ha bisogno di un po’ di scetticismo e di ironia!  Chi non dubita della sua fede vede negli altri solo degli imbecilli, nemici, e aloora disprezza, denigra,, uccide”. E’ bello che queste parole siano affidate a Nicu Pascu , colui che ha perso il senno per amore e che gli augura di rimanere un uomo di poca fede.

E’ un messaggio potente e di grande attualità, oggi che la religione diventa spesso un elemento di divisione, incomprensione e conflitto, al contario una fede che dialoga con se stessa è ‘unico antidoto alla violenza.

 

Come ho detto all’inizio il libro ha una forza poetica travolgente. Vorrei ricordare in chiusura solo due momenti.

  1. La descrizione del padre, il poeta analfabeta. Vi è un descrizione potente di Totonnu (pg 81) , è sceriffo di frontiera e poeta  e si stupisce. Lo stupore è dei bambini, la capacità di meravigliarsi che il protagonista vede nel padre che si innamora della Bibbia, che conserva curiosità è la sua grande eredità. La capacità di stupirsi, la voglia di esplorare, sono uno  dei tanti fili rossi di questo romanzo. .

 

  1. La seconda descrizione, che ho trovato particolarmente intensa, è il parto della vacca a cui i due ragazzini assitono, è una scena forte per due ragazzini, provoca un forte turbamento che la comunità, il contesto sociale, sostieme e contiene. Non è un momento vissuto in solitudine morbosa, ma condiviso. Si fa festa per un parto, le emozioni, i turbamenti  vengono espressi, dichiarati, dunque legittimati. Verbalizzare il turbamento, viverlo socialmente, significa legittimarlo e dunque non bloccare il bisogno di esplorazione nei due ragazzini, dunque la loro crescita e scoperta individuale e sociale. La comunità è presente sempre  sia essa quella evangelica,  sia  “Il pesco”, sia San Marco…..

 

La comunità che sostiene, accoglie, contiene, è un tema forte ed è una delle sfide maggiori che oggi vivono i migranti.

Lo sradicamento, il non appartenere porta spesso alla creazione di quelle comunità etniche, che se puer rispondono al bisogno primario di appartnenza, rischiano di divenire ghetti.

La vita di ognuno è costellata da due bisogni, con cui in un certo senso si deve venire a patti:

–         il bisogno di appartenenza

–         il bisogno di differenziazione

 

A me sembra che Rolanduzzu ci sia riuscito.

 

Il libro ha tanti livelli di letture, è denso, poetico e travolgente.

Qui ho portato alcune delle mie emozioni e desidero ringraziare di cuore l’autore per questo dono che ci ha fatto.

 

 

 

Prof. Giuseppe Marchetti Tricamo della Sapienza di Roma direttore della Rivista Letteraria “Leggere Tutti”

Per l’ossessione del progresso, all’inizio degli anni ‘6o, siamo saliti su un treno velocissimo. Abbiamo preteso che quel treno corresse per portarci sempre avanti. Sentivamo, come dice il protagonista del libro che presentiamo oggi, “solo il ritmo regolare del treno sulle rotaie, era l’avanzare inesorabile verso un’altra vita”. Partivamo da stazioni diverse e portavamo con noi soltanto una valigia di cartone legata con lo spago. Una valigia che conteneva tutto il passato. Era un peso, una cosa fastidiosa della quale quasi vergognarsi. Come se, il suo contenuto non ci appartenesse. Non riuscivamo neppure a guardarla e l’abbiamo lasciata chiusa in un angolo con il suo contenuto segreto. Per anni, ciascuno di noi e tutti noi insieme, abbiamo annullato abitudini, tradizioni, svuotato paesi, abbandonato campagne, tagliato boschi, inquinato l’aria, cementificato i litorali del mare. Era l’ossessione del progresso che ci portava a fare il passo più lungo della gamba. Per lunghi anni non abbiamo più ascoltato lo scorrere del nostro torrente Colognati. Non abbiamo ascoltato il brontolio della solida civiltà contadina per correre dietro ai sogni frenetici della civiltà borghese.
Quel futuro che abbiamo tanto ricorso è però finito. Anche se, oggi, ancora un numero enorme di umanità fugge dalla povertà, dall’angustia, dalla mancanza di un tetto e dalla fame e viaggia verso il territorio dei sogni e dei desideri. L’ idea di futuro è totalmente tramontata e non ci resta che aprire quella valigia – che nel nostro viaggio ci siamo portata dietro – per tirar fuori le buone cose del passato.
Rolando Rizzo dopo anni di studi, di testimonianza della sua fede in Cristo e di insegnamento di teologia ha aperto la sua valigia e ha preso coscienza delle ferite segrete che vi aveva chiuso dentro e le esplora pazientemente. Queste ferite e questi dolori gli hanno dato l’ispirazione per un romanzo sorprendente. Il romanzo di uno scrittore vero che vuol far conoscere al mondo il genere di vita che abbiamo vissuto.
Ci sono nel nostro paese almeno due tipi di scrittori: quelli “assidui frequentatori di talk show”, brillanti opinionisti dell’inutile e spesso presenti nelle classifiche dei libri più venduti e quelli “normali”, uomini o donne che fanno la fila al supermercato e alla posta per pagare le bollette della luce e del gas, autori insospettabili di capolavori che soltanto il passaparola può aprirgli la strada della visibilità e del successo. A questa seconda categoria appartiene Rolando Rizzo. Il suo “Il Mulino sul Colognati” è un libro straordinario. Un romanzo che va letto almeno due volte: la prima, si è totalmente presi dalla storia e si va avanti velocemente, con la seconda lettura si ha voglia di perdersi dentro: di fermarsi alla cascina di quella famiglia laboriosa e pacifica dei Tabbatà, di sostare al Mulino sul Colognati dei tempi migliori per farsi raccontare da zu Peppu ‘u mulinaru – mentre le macine producono la farina più fine della contrada – una storia di quando era bersagliere a Torino o un episodio di quella guerra che in verità non aveva mai combattuto. E in lui, in zu Peppu ritroviamo il nonno di tutti noi: alto, buono, allegro, generoso e con la passione per un buon bicchiere o meglio per una buona bottiglia di vino rosso. Perché è così che noi lo ricordiamo. Ci colpisce la saggezza triste e un po’ matta di Nicu Pascu. Saggezza nata direttamente dall’infelicità. In Pinuzzu ritroviamo l’amico con il quale abbiamo diviso l’infanzia. Con lui Rolanduzzu protagonista e voce narrante ha diviso gli anni del “Pesco”, che per lui è stato “l’Eden incontaminato piantato da una divinità creativa, un luogo con non uno ma con mille e mille alberi della sola conoscenza e della vita e mille erbe aromatiche, mille fiori e mille frutti che profumavano di cielo e di nuvole, di sole e di neve”. C’è anche tanta poesia nel libro di Rizzo. Quell’Eden abbondato era a Rossano tra la montagna e il mare. Una città, aspra e dolce, che tutti vollero bella i greci, i romani, i bizantini, i normanni gli svevi, gli angioini, gli aragonesi, gli austriaci, i borboni, i francesi, i piemontesi e i baroni del luogo. Tutti, ci ricorda Rizzo, piantarono o costruirono qualcosa sulla roccia rossa: ulivi, vigneti, giardini di limoni e palazzi, chiese, piazze. Tra campagna e città conducono la loro vita i personaggi del libro. E intorno scorre il Colognati che ha lo stesso carattere dei protagonisti della storia: si trasforma in poco tempo da fiume impetuoso in ruscello limpido e mite. Impetuoso e mite come Totonno. Era allo stesso tempo, dice Rolanduzzu, uno sceriffo con il senso della giustizia, l’onestà, il coraggio e il mito della violenza e un poeta dalla curiosità infinita. Ma Totonno era stato impetuoso fino all’incontro con la comunità avventista. Incontro che darà un nuovo corso alla sua vita, a quella di Rolanduzzu e di molti altri in paese.
Questa storia tenera e dura che si svolge in un contesto aspro e dolce ci resterà per sempre dentro.
Questo libro prende in mano il nostro cuore, richiama la nostra attenzione sui valori veri della vita ed è forse la testimonianza più forte, più efficace del “missionario” Rolando Rizzo.
Da ragazzo vedevo la Calabria dalla sponda messinese dello Stretto. La vedevo la mattina nel sole che sorgeva dietro Scilla e la notte quando nell’orizzonte i fuochi dei carbonai dell’Aspromonte si confondevano con le stelle del cielo. Rolando me l’ha fatta ritrovare.
Leggeva molto Rolanduzzu. Leggeva ogni foglio che gli capitava tra le mani. Anche i pezzi di giornali che acchiappava per strada durante le folate di vento, leggeva “La Domenica del Corriere”, di cui trovò un’intera collezione accanto a un secchione della spazzatura e si informava così attraverso le tavole di Walter Molino di quel che succedeva in Italia.
Leggere e scrivere sono facce della stessa medaglia. Di Rolando scrittore vogliamo leggere ancora tanto e gli auguriamo, utilizzando una frase di Gilbert Sinouè, di “Scrivere. Scrivere fin tanto che la mano troverà la forza di correre; scrivere perché vi sia memoria”. Memoria di un tempo e di un mondo che non dobbiamo dimenticare. E siamo così, come siamo oggi, perché siamo fatti di quel tempo. Anche questo dobbiamo dire ai nostri giovani. Devono capire da dove veniamo, da quali difficoltà, da quali sacrifici, quale tensione morale ha caratterizzato la vita dei nostri padri. Facciamolo leggere anche a loro, ai giovani, questo libro. Potranno così mettere a fuoco la nostra vera identità.
Complimenti anche all’editore Ferrari. Complimenti per aver piantato questo albero rigoglioso in quello che ci sembra essere, in questo momento, il deserto letterario calabrese. In Italia, le “sorprese” in letteratura arrivano dai medi e piccoli editori. I grandi, sono un po’ codardi, hanno rinunciato al ruolo di “scopritori di talenti letterari”, pensano al libro soprattutto come oggetto commerciale e come centro di profitto, preferiscono tradurre e non rischiare: ne abbiamo conferma dai libri presenti nella classifica dei più venduti di questa settimana; su dieci titoli sette sono di autori stranieri. Siamo alla globalizzazione delle idee. Continuando così rischiamo “il genocidio culturale”.
La forza di noi lettori è il passaparola: diciamo ai nostri amici che questo di Rolando Rizzo è un libro da non perdere.
Giuseppe Marchetti Tricamo
Roma, 19 gennaio 2009

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APPREZZAMENTI DA PARTE DEI LETTORI

Da: oreste papa’<orestepapa@yahoo.it>
A: “Rolando Rizzo” <rizzorol@libero.it>
Data invio: lunedì 7 gennaio 2008 0.48

Carissimo dottor Rizzo,
mi scuso se rispondo dopo ben sette giorni, meglio tardi che mai! Per future comunicazioni, se non rispondo subito, il mio telefono è ……….. e un sms può aiutarmi a non dimenticare di rispondere dopo la gioia di aver letto… un altro trucco utile (applicato qui) per evitare che il messaggio faccia cilecca è di mandare copia del messaggio non solo a questo indirizzo, che leggo io, ma anche all’altro che metto in copia adesso (quello istituzionale della Camera, dove legge la mia segretaria Chiara Preti).
Anche per me quella serata è stata piena di grazia, ho provato i suoi stessi sentimenti e anch’io la ringrazio, cosí come sono grato a Dora per avermi proposto l’impegno e avermi cosí dato l’opportunità di conoscere prima il libro e poi l’autore.
Le tre righe le scrivo molto volentieri, ma confesso che potranno essere basate solo sul Terzo treno: i primi due libri della trilogia li ho avuti in dono quella sera (grazie anche di questo) ma confesso di non averli ancora letti. Va bene anche cosí? Se sí mi metto all’opera appena possibile.
Un fraterno saluto nella gioia pasquale
Giovanni Bachelet

Oggetto: ll mulino sul Colognati

Carissimo Rolanduzzu,
Ho appena terminato la lettura del tuo ” Mulino”.
Un capolavoro.
L’ho letteralmente divorato con la stessa voracità con cui tu divorasti le 22 arance di
Gustinu’u Palurisu, con tutta la buccia; ma solo ora mi rendo contonto che la voracità non mi
ha permesso di gustare come avrei voluto ” il succoso agrume” .
Già da domani tornerò a rileggere quelle pagine che mi hanno parlato al cuore; ma’sta
volta senza correre; per gustarne meglio i particolari.
Un autentico capolavoro che ha toccato le corde più profonde della mia anima e le mie
radici di oriundo calabrese; ma che, soprattutto, mi ha umanamente scosso al punto che
ln quattro o cinque momenti particolarmente intensi e struggenti non sono riuscito a
trattenere le lacrime.
Al di là di tutto desidero faÉi sapere che ll tuo “Mulino” ha per me un valore ancora più
grande:
grazie ad esso ho scoperto la tua umanità; da oggi sento finalmente di conoscerti come
amico e fratello
forte, coraggioso, leale, vero.
Grazie altuo “Mulino” ho un motivo in più per ringraziare il nostro Potente Dio.
Anche per questo ti voglio più bene di prima.
Oreste
P.S,
ad familiari, amici e colleghi ( non membri di Chiesa) ho regalato nelle festività appena
trascorse tutte le copie del “Mulino” che ti avevo richiesto; tranne una che ho trattenuto per
me e per mia moglie.
Da cinque di lorc, ma ln modo particolare da due miei colleghi, ho ricevuto telefonate di
grande apprezzamento.
Ti sarei grato se potessi ordinare per mio conto, al tuo editore, altre 10 copie e farmele
recapitare.
Un fraterno abbraccio a Raffaella e Simona che ricordo con affetto.
0reste

 

 

Da Loredana Le Pera di Rossano

Salve sig. Rizzo, da tempo sto pensando se scriverle o no…purtroppo non sono riuscita a partecipare alla presentazione del suo libro questa estate perchè ho saputo di questo molto tardi e come me la mia famiglia ma le assicuro che saremmo stati davvero onorati e contenti di poterlo fare,primo per l’orgoglio di essere “colagnatesi”come amo definire io chi come me abita li e poi perchè in quel libro lei parla di persone che anche la mia famiglia ha vissuto.

Mi chiamo Loredana Lepera sono

una “coddi curti” mio papà domenico è nato dal breve matrimonio fra Giovanni Coddi curti e Carpita a Mulinara detta cosi perchè sposò in seconde nozze (rimase vedova del nonno giovanni) Petrillu u mulinaru fratello di suo nonno…mio papà è rimasto orfano a soli due anni non ricorda niente di suo padre Giovanni,ma è stato cresciuto come un figlio dal nonno Petrillo che mori quando lui aveva 19 anni….Le scrivo perchè condivido come lei l’idea della meravigliosità che ha il nostro Colagnati dove quando torno tutto è sempre magico e surreale…

il mondo cambia…cambiamo tutti, alcuni vanno via…l’ho fatto anch’io per studiare a Firenze dove mi trovo tutt’ora…ma quando torni li si

ritorna bambini   c’è la scuola del pesco dove quando ci passi ti casca

sempre l’occhio ci sono i prati che quando li guardi ti rivedi sempre li a correre,a raccogliere fiori o a sognare di vedere i folletti e le fatine….ho lasciato li il mio cuore e lo ritrovo ogni volta che ci ritorno….volevo solo forse un pò in ritardo ringraziarla per avermi fatto chiudere gli occhi e vedere il mio Colognati con i suoi di occhi…di avermi fatto immaginare come era prima che io nascessi, grazie per avermi fatto ritornare li…sul Lolagnati che chi come noi c’è vissuto non smetterà mai di amare….

 

Cordiali saluti

Loredana

Lepera

 

 

Da Alfonso Salemi da Cantù

 

Caro Rolando,

 

ho iniziato a leggere il libro e lo trovo molto bello.

Si legge “da solo”.

Mandalo a rai 3 da Augias……  Merita di essere divulgato.

 

Ora so dove trovarti.

Vedremo se sarà possibile passare da Forlì in qualche occasione.

 

Cari saluti.

 

Alfonso

 

 

Da Piero Pancanti  Pisa

 

Caro Rolando,

per chi, come noi, proviene dalla cultura contadina, sa bene che c’è un tempo per la semina e un tempo per la raccolta.

Ho appena terminato la lettura della tua storia; è un affresco intenso e a tratti doloroso, anche per chi legge, ma pur sempre ” una raccolta”.

Ho riso e ho pianto ma, soprattutto ho conosciuto un mondo a me ignoto: I Vangelisti.

Da inguaribile agnostico ho sempre trascurato di approfondire temi religiosi ” per principio”, ma riconosco che spesso “per questioni di principio”

ci precludiamo opportunità importanti. Ho scoperto, ad esempio, che i Vangelisti, ” Voi Vangelisti” vivete la fede con concretezza –

anche se tale considerazione  pare una contraddizione in termini – affrontando le fatiche, le gioie  e i dolori come tutti i comuni mortali. Avete una famiglia,

dei figli e per vivere dovete lavorare.” Credo” sia questo il vero messaggio Cristiano, del Cristo uomo, con moglie e figli, nonostante

le mistificazioni della chiesa cattolica tendano a dipingerlo diversamente.

Non sono in grado di  giudicare se  – o non credo – ci sia stato in terra il figlio di un’entità superiore ma, anche se Cristo fosse stato “semplicemente un uomo giusto”

l’umanità ne ha tratto un beneficio immenso.

Temo che il sangue che si sta versando in questi giorni in terra santa, siano la riprova che Iddio – se c’è – è distratto.

Se puoi perdonami la battuta, che può apparire blasfema, e di’ una preghiera anche per me, che non sopporto la guerra e, in questo momento, oltre a manifestare nelle piazze

mi sento impotente e triste.

 

Buon 2009…

nonostante tutto

 

Piero

 

 

Da Fabiano Rivellini di Brescia

Caro amico,

sono rientrato da poco dalla Sardegna dove ho trascorso piacevoli giornate con terry e pinky e in compagnia de “Il Mulino sul Colognati”. Grazie per i profumi, i sapori e le mille emozioni che attraverso le pagine mi hai regalato. Aspetto con ansia la tua prossima pubblicazione. Auguro a te e alla tua famiglia ogni bene nella Grazia del Signore.

Con affetto! Fabiano

 

 

Da Walter Manciola   di Genova

 

Caro Rolando

Spero che la presente ti trovi in buona salute. e con sempre voglia di scrivere Ho comperato e letto tutto d’un fiato il tuo romanzo e, penso, in parte storia vera del *”Il Mulino sul Colognati”-* una storia calabrese — e sinceramente mi ha commosso pensando alle tue sofferenze d’infanzia e di adolescente, che passa dalla gioia inconscia, alla tristezza vera. Non so se i problemi familiari e le storie che racconti di certi personaggi, come ad esempio di Nicu Pascu e Serafina e i Baroni la vicenda di tuo padre con tua madre, di Francuzzu e di Erminia dei tuoi avi ecc. siano veri o romanzati. Comunque, voglio dirti che il libro mi è piaciuto e ho sempre letto volentieri i tuoi articoli e libri religiosi, in essi trovavo la vena di uno scrittore, ma questa del Mulino è un’alta cosa.. Voglio dirti che il Signore è vicino ad ognuno di noi e si rivela a tutti coloro che lo accettano nella loro vita, come è accaduto a te, a tuo padre, a me e a tanti altri. Non capisco il dialetto calabrese, e per me è stato difficile persino leggerlo; e a questo proposito che cosa sono le _*/timpe?? /*_Ho conosciuto ai Congressi che si facevano una volta a Firenze, due fratelli della chiesa di Rossano, di cui di uno ne ricordo il cognome *De Simone *menzionato nel tuo libro * *e l’altro era un signore alto e grosso di grande bontà, e andavano sempre in coppia – come io e Recoldi – ma non me ne ricordo il nome e forse tu lo saprai certamente. Ho visitato la Calabria nel

1972 e ci sono stato una settimana — ho attraversato i due mari – da Cosenza a Catanzaro — a Reggio e paesi diversi come Paola – Rende – San Giovanni in Fiore – Lamezia — Gioa Tauro – Cittanova – Palmi – Siderno

– Scalea – Praia a mare — e altri che non ricordo al momento. Comunque è una terra che mi è piaciuta assai, dispiace che sia così tanto distante dalla Liguria dove vivo. Ti allego delle foto della tua Rossano di cui ho visitato il sito, ma che nel mio giro non ho avuto occasione di vedere. Ora aspetto il proseguo di questa storia, cioè il secondo libro, e mi pare di ricordare che ne vuoi scrivere almeno quattro- Auspico che il Signore voglia benedire il tuo lavoro di pastore e di scrittore, che benedica la tua famiglia e di rileggerti al più presto.

Un fraterno saluto, con simpatia _*Walter

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REAZIONI DA PARTE DELLA STAMPA

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“Il Mulino sul Colognati è un romanzo sorprendente… Un libro che va almeno letto due volte… Un insospettabile capolavoro… Nel Viaggiatore Rolando Rizzo continua a regalarci pagine preziose, da leggere subito e continuare a leggere tra dieci e più anni.” Giuseppe Marchetti Tricamo direttore di “Leggere tutti.”

“L’apertura ordinata di uno scrigno di saggezza… La sincerità di Rolando Rizzo commuove.” Pietro Caruso del Corriere di Romagna

“Romanzi, intrisi di profonda umanità e di straripante sincerità scritti in modo avvincente. Una poeticità descrittiva e narrativa che incanta. ” Pierantonio Zavatti pres. “Oscar Romero” di Forlì

“Un gusto per la narrazione che coinvolge…atmosfere da thrilling che avvincono.” Aurelio Magistà di Repubblica

“Rolando Rizzo è lo Steinbeck calabrese.” Salvatore Vilardo Presidente Federazione Circoli Calabresi
“Rolando Rizzo, con “Il Terzo treno” ci aiuta a recuperare parole chiave cadute in disuso come: lealtà, etica, giustizia, equità, sobrietà, semplicità e, una più importante delle altre, la fede.”
Simone Smart “Leggere Tutti”

“ Una grande narrazione popolare… personaggi autentici ricchi di umanità e di spessore psicologico.” Nicola Danti Presidente Commissione Cultura della Regione Toscana

“Il Mulino sul Colognati: ha la forza di una radice.” Piero Barlozzetti RAI Uno!

“Un contributo per il rilancio culturale della nostra Calabria.” Enzo Romeo Rai Due

“Il terzo treno” è un romanzo storico avvincente.” On. Giovanni Bachelet

 

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