La Quercia grande del Rossi – il Casentino

Tra le zone d’Italia sfuggite alla cementificazione selvaggia i cui centri urbani si sono modernizzati senza però stravolgere la loro identità storico paesaggistica, il Casentino (una vasta regione tra Firenze e Arezzo) occupa un posto di rilievo. Quando superato Pontassieve si sale tra le abetaie al passo della Consuma e poi la si riscende, ecco apparire un’ampia vallata che raggiunge Arezzo tra alte montagne coperte di querceti e faggete ai cui piedi scorre l’Arno.

Il Casentino si compone di tredici paesi, il più grande è Bibbiena, il più noto è Poppi. Tutti hanno conservato piazzette medievali deliziose e gusti edilizi antichi, tetti rossi, intonaci pastello, scale di cotto, finestre di gerani rossi e di campanule, ricami semplici di pietra serena.

Ciò che impressiona, in ogni stagione dell’anno sono I campi della piana coltivati palmo a palmo. A differenza del mio amato sud dove ad ogni passo incontri vaste zone inselvatichite, ulivi che paiono barboni sudici , aranceti secchi, e torrenti antichi trasformati in discariche a cielo aperto, il Casentino profuma di zolle arate in autunno; e, in primavera, tutte le terre si coprono di grani in erba, di avene, di orzi, di virgulti di gran turco e di girasole. Poi verso fine maggio imbiondiscono il frumento e gli orzi tra greppi di papaveri e l’estate domina il verde della medica, l’oro dei grani e degli orzi, la dolcezza luminosa dei girasoli le distese fitte di mais che paiono esibire fiere mille e mille grasse pannocchie verdi.

A Poppi abbiamo Casuccia Visani.

Se dopo Becarino di Poppi, invece di svoltare per Casuccia Visani si sale diritto verso Quorle, a circa quattro chilometri c’è una chiesa povera, di pietra, che ha circa mille anni e le campane originali che ancora cantano per l’intera vallata. Se si continua seguendo la via di sinistra si va verso il Pratomagno. Se si segue quella di destra si sale e poi si scende rincontrando Casuccia Visani. Se questa strada la si fa di notte, non è raro incontrare cinghiali, caprioli, istrici, formichieri, volpi. Pare ci sia anche qualche lupo, ma io non l’ho ancora incontrato.

Lungo le vie sterrate che attraversano il bosco si incontrano deliziosi borghetti, da cui è possibile abbracciare con lo sguardo, I boschi, le vigne, la piana e le montagne dei Mandrioli e della Calla all’orizzonte, e da alcuni punti, il Castello dei Conti Guidi.

Ogni borghetto ha un nome ben segnalato: il Bacile, le Cavriglie, Case nuove, le Balze, Campiano.
I piccoli borghi di cinque sei abitazioni, antiche masserie, sono tutti stati restaurati ma mai stravolti. In essi domina la pietra vista dai riflessi azzurrini e giallognoli. Gli angoli hanno pietre scalpellate e gli architravi sono di castagno oppure di elegante serena grigia. La distanza tra le case è poca e non mancano deliziosi ballatoi, archetti aiuole, fiori ovunque. Spruzzi di carminio, di smeraldo, di giallo nelle aiuole ma soprattutto nei vasi che ingentiliscono le soglie. Abbondano sui muri I vasi pensili di garofani variopinti. Anche se il principe dei fiori è dappertutto il geranio rosso..

Il borghetto di Campiano ha la bellezza degli altri e due particolarità. La casa più bella è come le altre di pietra ma la famiglia che oggi la abita è lì ininterrottamente dal 1600. I boschi intorno sono loro proprietà e dei fratelli e cugini. Ed è del cugino del mio vicino Roberto una quercia antica, aggredita alla base da una selva di pruni e di rose selvatiche, che comunque troneggia al centro di un breve altopiano di fronte a casa mia. La posso vedere dalla finestra della cucina e dal giardino.

Mi dice il mio coetaneo Roberto: “Prima però era al centro di un prato. Era un vasto punto d’ombra d’estate ed era la gioia di noi bambini che sui suoi rami estesi e robusti costruivamo ogni primavera la nostra casetta dei giochi e della fantasia. Quanti anni ha? Difficile dirlo. Sessanta anni fa era già così.”

Ipotizzo che ha qualche secolo. Somiglia a querce citate nel testo biblico come riferimenti topografici . Come “la quercia di Mammre” sino alla quale giunse il pellegrinaggio “dell’amico di Dio.”.(Genesi 12:6); oppure la quercia di Allon-Bacut sotto alla quale Giacobbe seppellì la balia di Rebecca.(Genesi 35:8).

Mi preoccupa un poco la mia quercia secolare, ha diverse punte secche visibili in inverno. Alla base ha un numero eccessivo di robusti virgulti non potati che rubano linfa vitale alle cime e intorno troppi cespugli avidi di umus che le impediscono di dissetarsi nelle stagioni secche.

Seccasse, il mio albero antico, morirebbe un corpo terrestre, un monumento alla vita a cui ci siamo ormai affezionati, come se si spegnesse la venere che annuncia l’alba o la luna piena.

E’ possente e generosa la mia quercia; nelle notti chiare pare sorreggere con la sua chioma la luna e accogliere sulle sue braccia immense e distese la civetta e l’assiolo che cantano alla intensa vita della notte mentre intorno al tronco , famigliole di cinghiali grufolano di piacere degustando le ghiande cadute il giorno e i succulenti vermi tra le foglie marcite dell’anno passato.
All’alba invece pare disegnare un,ampio spicchi d’aurora sino ai monti e ospitare le creature del giorno:il picchio che pulisci dagli insetti I suoi rugosi anfratti, il cuculo con il suo noioso richiamo d’amore non corrisposto, e le frotte di cardelli, di verdolini, di lucherini che usano il suo corpo per riposare un poco prima di frottare oltre chiacchierando fitto.

Le giro accanto e la tocco, pare solida come un monte e immortale: non morirà ma anche se accadesse, migliaia, forse milioni, darebbero I suoi figli possenti, rigogliosi per l’intero Casentino. Portati dai venti, dai cinghiali che non le hanno tutte digerite, dai corbelli tropo colmi, dai sacchi leggermente forati da cui qualche ghianda è caduta,

Guardo per terra, nella penombra dei cespugli invasori e dell’ampio tronco, vedo tanti minuscoli quercioli alti un dito, ornate do pochissime foglioline verde chiaro. Ne afferro una e la stradico per vederne le radici. Mi incanto. Trovo una ghianda divisa a metà. Dal centro della metà di destra è fuoriuscito un filino fragile, chiaro che è diretto oltre la terra a cercare il cielo; dal centro della metà di sinistra ne è fuoriuscito un secondo che invece si dirige verso il centro della terra. Come la croce cercano la terra e il cielo e le radici corrono sotto i prati che coprono l’intera collina.

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