Il miracolo di Francesco Roberto

 

Ci sono uomini.

Nel 2007, Fabrizio Moro, un cantautore di 32 anni, sconosciuto al grande pubblico, conquista il primo posto nella sezione Giovani del festival di Sanremo con un autentico capolavoro rap intitolato “Pensa.”

Ovviamente c’è chi storce il naso a questa mia affermazione. Per alcuni i capolavori sono firmati solo dai morti. Chopin, Back… per altri il RAP è inconcepibile come forma cristiana di fare musica. Altri ancora possono trovare difetti gravi sia nel testo che nelle note. Credo modestamente che abbiano torto: i capolavori non sono esclusivi di nessun genere musicale (I generi sono solo scatole e il loro valore dipende da quello che c’è dentro) né di schemi precostituiti pur se veicoli di sublime. Un capolavoro è anche ciò che ha contenuti che emozionano, che ispirano a modificare nel senso della giustizia e dell’amore il proprio vivere.

Canta Fabrizio Moro:
Ci sono stati uomini che hanno scritto pagine
Appunti di una vita dal valore inestimabile
Insostituibili perché hanno denunciato
il più corrotto dei sistemi troppo spesso ignorato
Uomini o angeli mandati sulla terra per combattere una guerra
di faide e di famiglie sparse come tante biglie
su un isola di sangue che fra tante meraviglie
fra limoni e fra conchiglie… massacra figli e figlie
di una generazione costretta a non guardare
a parlare a bassa voce a spegnere la luce
a commentare in pace ogni pallottola nell’aria
ogni cadavere in un fosso
Ci sono stati uomini che passo dopo passo
hanno lasciato un segno con coraggio e con impegno
con dedizione contro un’istituzione organizzata
cosa nostra… cosa vostra…

Ovviamente Fabrizio esalta ed omaggia gli eroi civili che hanno ritenuto più importante morire per difendere la comunità umana dalle barbarie e dalla prepotenza che vivere nascondendo il loro talento sotto il mattone e vivere sotto la bandiera sulla quale Longanesi vedeva scritto: “Tengo famiglia.”

Di questi uomini: don Peppe Diana, don Puglisi, Rocco Chinnici, Ambrosoli… non se ne parlerà mai abbastanza; mai saranno entrati sufficientemente nella coscienza civile, dei giovani soprattutto.
Ma esiste anche un’altra categoria di uomini e donne che non hanno ricevuto il talento di Falcone e Borsellino né hanno avuto le occasioni per svilupparli. Uomini semplici, qualche volta analfabeti che però per il loro vivere sono il sale della società, sono i “Miti che erediteranno la terra” secondo le parole di Gesù. Avessi il talento chitarristico di Fabrizio Moro scriverei anch’io un RAP su questi uomini. Non avendolo ho voluto dedicare loro qualche modesto verso:

Ti ringraziamo Signore per gli operatori di pace
Che susciti nelle chiese e tra i miscredenti:
Come umili lucerne nella notte,
Come note di violini nei lager,
Come il profumo dei giacinti nelle albe ancora fredde di marzo.

Grazie per gli operatori di pace che non hanno voci tuonanti,
Che operano velati dal loro eccessivo pudore,
Che ti porgono le mani e il cuore,
E ti servono con la sola forza di un sorriso riconoscente.
Loro, gli operatori di pace sono il sale della vita,
Preparano nel silenzio la primavera del mondo
Il tuo regno di pace.

Ne ho conosciuti operatori di pace,
Nei miei quarantanni di manovale della speranza:
Alberto Long
Che si lasciò portare davanti al plotone di esecuzione
Per non imbracciare un fucile;
Zio Cataldo
Che io bambino affamato
Incontravo sempre sulla soglia della tua casa
A porgermi una mela ruvida o una manciata di mirtilli.
Il pensionato Sady che mi scorrazzava nella sua macchina
A portare la Parola e panieri frugali ai poveri.
Franco, l’anziano, operaio alle catene di montaggio
Che sempre mi ha preceduto a consolare i malati…
Maria, la vecchia zia Maria
Che aveva un sorriso per tutti
e una carezza in più per i discoli.
Signore degli operatori di pace
Dacci di non ignorare il vino e l’olio che sanno spargere sulle ferite
Di afferrare il loro messaggio sussurrato.
Anche per loro.
Noi crediamo e ti lodiamo
Uno di questi uomini che hanno segnato la mia vita è oggi un distinto signore di 83 anni che durante la settimana indossa un camice immacolato quasi fosse un vecchio luminare della medicina. Nel laboratorio di orologeria, conosciuto in tutta la Calabria e non solo, ceduto ai suoi figli Daniele e Serafino, talvolta risponde al telefono e con gli amici si definisce “Sotto capo” come in marina. Nei locali della chiesa avventista di Cosenza invece si siede in fondo indossando impeccabili abiti blu. E’ quello che si dice un bell’uomo ma incredibilmente bella e la sua storia a cui Il quotidiano della domenica edito a Cosenza gli ha dedicato due splendide pagine corredate da numerose foto.
fam.Robertoal 50enarioHo incontrato Francesco Roberto per la prima volta alla Cutura, uno degli immensi uliveti della piana di Rossano. Sua mamma, i fratelli Gino e Peppino e sua sorella Isabella era scesi da Longobucco, come usava in quel tempo, per la stagione delle olive. Il padrone dava un modesto spazio abitativo dove famiglie intere, che scendevano dai paesi intorno, si ammassavano per due o tre mesi allo scopo di guadagnare un po’ d’abbondanza di pane. Io, avevo tredici anni e assieme a loro feci due stagioni. Franco , che era già padre di tre figli, venne a trovare la mamma e i fratelli e a me apparve come un uomo imponente, autorevole. Era il 1957.
L’anno dopo io partii per Villa Aurora e lui visse un dramma che con la determinazione, la caparbietà e la fede risolse in una meravigliosa avventura, in un autentico miracolo.
Quando Franco parla ha un discorrere elegante, ricco, denso di pause di ascolto, nessuno immaginerebbe che non ha mai frequentato la scuola.
Ho avuto il privilegio di essere ospitato nella sua casa varie volte e di passare ore felice davanti al fuoco del suo camino.
Mi raccontò in una di queste occasioni qualche anno fa: “un giorno ero dal medico che mi guardò le mani arrossate e mi disse che ero affetto da orticaria e mi elencò i lavori che non potevo fare… Cioè tutti i lavori che facevo!”
Franco era un bracciante e faceva di tutto, doveva cambiare vita. Disse al medico: “Questo non lo posso fare, quello nemmeno, quell’altro neppure… Va a finire che potrei fare solo l’orologiaio!”
“Eh, disse il medico, quello sarebbe il lavoro giusto!”
Era solo una battuta ma Francesco tornato a casa schiacciò con un martello la punta di un grosso chiodo arrugginito che fu il suo primo cacciavite e smontò una sveglia che non funzionava da tempo. Come esistono persone che hanno la musica nel sangue e a cui basta mettere le mani su una tastiera per farla cantare, senza avere mai studiato un pentagramma, esistono altre persone che nel sangue hanno tutti i segreti della meccanica di precisione. Franco era uno di quelli. Presto nella sua Longobucco molte sveglie ritenute ormai ferro vecchio ricominciarono a segnare con precisione il tempo. Alle sveglie si aggiunsero via via orologi sempre più complessi.
Nel frattempo l’unico orologiaio del paese vendeva il suo esercizio dovendo fuggire via da Longobucco. Franco lo rilevò e iniziò la sua avventura ufficiale di orologiaio. Nel frattempo nascono altri figli e Franco che vede un paese sempre più falcidiato dalla emigrazione ritiene Cosenza certamente più adatta per il futuro della sua numerosa famiglia che infine si comporrà di tre maschi e cinque femmine.

Sono stato a pranzo a casa sua numerose volte, una casa sempre piena di ospiti soprattutto al sabato. Inizialmente visse in un quartiere poverissimo della vecchia Cosenza, addirittura malfamato ma quando i suoi bambini uscivano di casa per la scuola, soprattutto i sabato mattina, parevano tanti principini.
Ma a Cosenza non c’era chiesa, Franco è di quegli avventisti che come m concepiscono il sabato soltanto in chiesa. La più vicina era la chiesa di Rossano. 100 km. Franco riempiva la sua macchina e ogni sabato partiva.
Poi, il pastore Filippo Rivoli con la chiesa di Rossano decise che bisognava accendere una luce avventista anche a Cosenza. Per anni si lavorò di porta in porta, Si organizzarono serie di Conferenze pubbliche. Io stessi condussi il programma NUOVE DIMENSIONI DELLA VITA, 43 conferenze pubbliche consecutive. L’inizio delle conferenze era alle 18,30. Franco, alle 18,00 chiudeva il suo laboratorio ed era il primo ad entrare in sala dopo avere per tutta la settimana distribuito inviti a tutti i suoi clienti. La chiesa di Cosenza nasce intorno a lui a dimostrazione del fatto che chi ha molto e di importante da fare è la persona più adatta a operare anche per la chiesa.
Presto si accorse di lui la Bulova, poi altre grandi marche. In pochi anni l’orologeria Roberto è diventata la migliore della Calabria. Un suo figlio e un suo genero hanno entrambi aperto fiorenti orologerie a Cosenza.

Dalla vecchia sveglia arrugginita Franco fu in grado di mettere mano via via su qualunque tipo di orologio; fu il primo in Calabria a mettere mano sul Bulova Accutron di straordinaria complessità che aveva al polso Yuri Gagarin quando per la prima volta un uomo conquistò lo spazio extra terrestre. Il modello venne commercializzato subito dopo, comperato da pochi eletti e come tutto ciò che è umano si guastò. Franco lo prese tra le mani e lo guarì. Lui infatti si definisce: “Il medico degli orologi.”

Ma tutto ciò non bastava ancora. Un giorno decise di passare dal micro al macro, dagli orologi da polso agli orologi storici delle piazze che un nel passato scandivano il tempo per il popolo.

Ci sono oggi circa una cinquantina di torri che vegliano da secoli le cittadine calabresi e lucane e che scandiscono le ore del giorno e della notte i cui orologi, dai meccanismi vetusti parevano morti e che Franco Roberto ha riportato alla vita:
Gli orologi storici di Cosenza vecchia, Mendicino, Crosia, Calopezzati, Castiglione cosentino, Firmo, isola di Capo Rizzuto, Vibo marina, Castrovillari e decine d’altri…Grazie a Franco che li ha curati come un medico cura un proprio figlio rintoccano oggi come nel lontano passato a ricordare le radici e i ceppi da cui tutti veniamo.
Dice Franco: “Ogni volta che si entra in queste torri si sente l’odore della storia, mi immergo in quel che queste lancette o queste campane avrebbero potuto raccontare nel corso degli anni. Le guerre, le preghiere, gli occhi in alto, le attese, i sospiri:::”
Ma sin qui, il lato professionale. Il motivo per cui però Franco è un motivo di ispirazione è certo ma non soprattutto la sua determinazione nello sviluppare il talento che gli ha regalato madre natura.
Ciò che mi ha sempre impressionato in lui è la sua fedeltà : alla sua comunità di fede, a Maria, la sua compagna di vita che un tumore vigliacco gliela portata via da poco, ai suoi otto figli; ma anche la coerenza con i valori universali oggi così tanto in disuso: l’onestà, il valore della parola data, la generosità, la capacità non comune di fare un passo indietro per favorire lo sviluppo professionale dei suoi figli…
Certo, come tutti gli uomini che tanto danno, Franco è il tronco di una quercia antica squadrata con l’accetta. Quando qualcosa non gira per il verso giusto e fin troppo “Franco.”. Ne ho fatto l’esperienza da giovane dirigente dell’Unione molti anni fa.
Pur se con modo sempre signorili da vecchio signore di campagna, quel giorno “mi fece nuovo nuovo.” Ma io che sono stato sempre molto reattivo non fui colto da alcun sentimento negativo neppure per un istante. Mi parlava con il cuore un uomo vero, un padre della chiesa.

Chiamava sua moglie Maria: “La mia principessa”. Grande donna Maria. Ma qui è necessario scrivere un’altra storia, quella di “una madre in Israele”.

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