Cieli Tamarri. La comunione dei numeri ultimi. – Reazioni e presentazioni

 

SCORRENDOLO SPAZIO DEDICATO A “CIELI TAMARRI. LA COMUNIONE DEI NUMERI ULTIMI” TROVERAI;

1 – L’esperienza del salone del libro di Torino

2- La foto con didascalia della presentazione a Niscemi

3- La reazione dei primi lettori: Elena Arena da Torre Pellice, , Paolo e sara Palmeri da Siena, Pino Esposito da Zurigo, Alfonso Salemi da Cantù, Salvatore Silvestro da Maropati (RC),

4- Le relazioni critiche dei professori  Rosario Rizzo, Ylena Russo, Maria Fontana Ardito

 

Il sindaco di Niscemi durante il suo intervento alla presentazione nella Bibblioteca Comunale di Niscemi

 

Il Sindaco di Niscemi durante il suo intervento alla presentazione nella Biblioteca Comunale  di Cieli Tamarri. Alla sua sinistra L’Assessore alla cultura Rosario Meli, e il pastore Caruso. Alla sua destra il relatore prof. Rosario Rizzo, la prof.ssa Emanuela Genovese, il giornalista della Sicilia Giuseppe Vaccaro

 

 

 

 

SaloneTorinoCieliTamarri2014FotoRizzoDiario “cieli Tamarri. La comunione dei numeri ultimi”

Il mio editore, che ha originali orari per dormire, mi chiama molto tardi una notte, o molto presto un mattino, e mi chiede di non rinunciare al Salone del libro di Torino. Ne parlo con mia moglie semiaddormentata che ciononostante o proprio per questo mi da il nulla osta.

Il Salone di Torino, la più importante vetrina di Europa dopo la Fiera del libro di Francoforte, se si ha la fortuna di avere uno spazio a disposizione, è qualcosa di irrinunciabile per uno scrittore.

Ho tra le mani “Cieli tamarri” da poche ore. L’editore ha fatto un ottimo lavoro. La copertina è bellissima ed è in relazione forte con i racconti che sanno di fichi d’india e di mare blu, di cieli accesi e di colori forti della terra , la mia terra, la Calabria.

Nel Salone di Torino, una cittadina del libro, sarei accolto in uno spazio che mi metterebbe a disposizione lo stand della Regione Calabria. Invito i fratelli avventisti del circondario. Ne vengono in buon numero. Cerco con loro il locale della presentazione. Non c’è locale della presentazione. Guardo la locandina degli eventi. Alle 18,00 di sabato 10 maggio è prevista la presentazione di Cieli tamarri. Ma è prevista solo la presentazione non lo spazio dove presentarlo, ne alcun strumento.

Mi viene graziosamente allestito uno spazietto tra due librerie. Accanto c’è un’altra presentazione con tanto di microfoni. Gli amici si accomodano sulle poche sedie messe a disposizione. Nell’altro spazio le sedie vuote sono tante. Vado a prenderne alcune. Un tizio, una specie di Cetto Loqualunque in doppiopetto mi aggredisce intimandomi di non toccare quelle sedie… Poiché la manifestazione da onorarsi è la sua! La mia benché prevista e in calendario, per lui non esiste. Mi scattano dentro furori antichi, furori tamarri ma pastore sono e non di pecore e tanti miei fratelli sono lì per i miei Cieli tamarri letterari non per i miei tamarri istinti.  Pazienza dunque ma come cominciare nel frastuono del salone e con il microfono di Cetto Loqualunque accanto che urla convinzioni forti? La professoressa Fortunato che deve pronunciare la relazione letteraria non c’è ancora. Spero che non venga. Come farà a farsi sentire? Non ha la mia voce né la mia abitudine di vecchio predicatore di campeggi! Inizio allora…Ma la prof. Fortunato arriva e fortunatamente si arrangia come può! Ed io che scrivo di Calabria con amore!

Tutti gli intervenuti prendono copia del libro. Il 50% va allo stand Calabria che, si capisce, come fornirebbe altrimenti agli scrittori i servizi adeguati?

L’amarezza è tanta ma anche la gioia dell’affetto di tanti fratelli che sono venuti oltre che da Torino, da Asti, da Torre Pellice.

Sono in treno è domenica 11 maggio torno a casa. Felice dell’accoglienza dei fratelli, indignato per il trattamento ricevuto…Mi raggiunge un messaggino telefonico da Torre Pellice dove un Cieli tamarri è arrivato la sera prima.. Recita

“Ho letto il suo ultimo libro “dolceamaro”, complimenti di cuore. Elena Arena”

A Casa due giorni dopo trovo una email di un caro amico e di sua moglie che oltre ai complimenti mi dedica versi corti e bellissimi. Siamo stati bersaglieri assieme.

complimenti vivissimi e un vigoroso grazie, per averci omaggiato, del frutto identificativo, a noi caro.
Un abbraccio,
Paolo e Sara.

Ricco di semi,
di spine,
e di succulenta,
fragrante gelatina.
Homo novus.

Ricco di sale,
di memoria,
e di preziose,
acque limpide.
Laus Deo.

 

Poi, l’amico Paolo Palmeri di Calatafimi ma residente a Siena, mi fa dono di una bella sua poesia dedicata all’autore di Cent’anni di solitudine da poco scomparso:

 

Vecchio albero ?

 

Dove sei amico caro ?
Quale terra,

calpestano i tuoi piedi ?
In questa festa di primavera,
quale fiore

nei tuoi occhi ?

Oggi,

non un solo fiore.
Ma un grande albero,

ci ha lasciato.

 

Gabo..!

Vecchio albero  ?

Ereditiamo

le tue,

 fronde !

Eredamos,

Su

frondas.

Bha, il padiglione della Regione Calabria mi è stato ingrato ma, gli amici e il loro affetto valgono assai di più.

 

Col la velocità delle poste svizzere Pino Esposito, i regista emergente del cinema europeo di impegno civile, ha già ricevuto copia di Cieli tamarri: il suo commento è incoraggiante:

 

caro Rolando ho ricevuto il libro. trovo quelle storie di una umanità commovente…come se le avesse osservate e scritte un bambino al quale non interessa nulla della forma e della struttura… ha scrittto in piena libertà e sincerità tutto quello che ha percepito e visto.  Pino Esposito
Due lettori mi scrivono da Cantù il primo, da Maropati (RC) il secondo:

Caro Rolando,

ho letto il tuo ultimo libro  “Cieli tamarri, la comunione dei numeri ultimi”.

Si legge in un attimo e alla fine ho controllato per verificare se erano effettivamente 15 racconti.

Si, erano 15, ma sembravano uno solo.

Devo dirti che dopo avere letto alcune storie mi sono commosso ….

Dott. Salemi Alfonso    Cantù

 

Ciao Rolando, ho letto i racconti di Cieli tamarri e volevo manifestarti tutto il mio apprezzamento.. Mi sono innamorato degli ultimi a cui hai dato voce e che hai riportato in vita da un mondo ormai così lontano da sembrare irreale per chi non lo ha conosciuto. Un mondo bellissimo e tremendo al tempo stesso, che merita di essere ricordato attraverso opere come le tue.

Ti ringrazio molto per la copia autografa: la conserverò gelosamente.

Cari saluti a te e famiglia.

Salvatore Silvestro  Maropati  (Reggio Calabria)

 

Cieli Tamarri è stato presentato sabato 31 maggio alla Biblioteca Comunale di Niscemi presenti, tra gli altri, il Sindaco e l’Assessore alla Cultura.

Il professor Rosario Rizzo, docente per molti anni in Svizzera ha presentato la relazione critica centrale sui racconti. Volentieri la pubblichiamo. Eccola:

 

Rolando Rizzo

<< Cieli tamarri>> la Comunione di numeri ultimi.

 

Rolando Rizzo arriva a questi 15 racconti, “Cieli Tamarri”, La Comunione dei numeri ultimi” dopo aver dato alle stampe una trilogia, “Il Mulino di Colognati” (2007), “Il Viaggiatore”, (2009) e il “Terzo treno” (2011). Tre libri che raccontano la vita, le vicissitudini, l’atavica povertà, le sopraffazioni, le emozioni, le pulsioni, gli impulsi, i desideri, attraverso la memoria,

E Rolando Rizzo indaga con occhio commosso, umanissimo e spesse volte fraterno, la vita dei <<vinti>>.

E più di un critico, leggendo le opere di Rolando Rizzo, l’ha collocato, e a giusta ragione, ci vien voglia di dire, in quel vasto movimento del “verismo” che in Luigi Capuana e in Giovanni Verga ebbero i capostipiti  tra gli ultimi decenni dell’Ottocento e i primi del Novecento. Autori che si sono soffermati , come ci ricorda Alberto Asor Rosa, nella descrizione<<… su ambienti agricoli e provinciali e sulle plebi contadine, che costituivano allora in Italia la grande massa della popolazione più abbruttita e miserabile>>.

Ma  il popolo descritto da Rizzo, nelle sue opere, non è il popolo fatalista, ripiegato su sé stesso, senza speranza e disamorato dalla sua vita passata, presente e futura. Personaggi che troviamo, di norma, nelle opere “veriste” italiane.

Ricorda per certi versi,“quel volgo disperso che nome non ha”,  come direbbe il Manzoni.

Ed è proprio questo verso finale dell’Atto Terzo dell’Adelchi, che mi porta a dire che i personaggi di Rizzo sono più simili ai quelli manzoniani. Non bisogna dimenticare che Renzo Tramaglino è un umile servitore figlio del popolo che, armato delle parole del Vangelo, anche contro i potenti, entra nella storia  perché crede nella speranza di un futuro e abbandona la millenaria rassegnazione.

Ciò ci porta meglio a comprendere il sottotitolo di “Cieli tamarri”: La comunione dei numeri ultimi come controcanto al libro “La solitudine dei numeri primi” di Paolo Giordano, vincitore nel 2008 del Premio Strega e del premio Campiello, opera prima. Un bel libro i cui personaggi, Mattia e Alice, purtroppo, non hanno futuro. Certo sono figli di epoche diverse, ma senza speranza.

 

Non ho letto la trilogia di Rolando Rizzo, questo interessante scrittore calabrese. Ma ho letto, e riletto, questi ultimi 15 racconti, scritti con tanta passione, con proprietà di linguaggio, con un uso sobrio di qualche espressione dialettale e ha voluto, ancora una volta, tener fede a quell’aureo precetto che tutto il nostro passato rimane giustamente muto a chi non lo investe di una partecipazione presente. Quel passato che non vuole passare, insomma.

Rolando Rizzo, abbandona Rossano Calabro all’età di 14 anni e dopo una vita travagliata, piena, ma il tempo passato ci induce quasi a dire, ricca di esperienze, ma di questo ne ha parlato il pastore Gioacchino Caruso, arriva alla “meritata quiescenza” e si mette a scrivere.

Ma non lo fa da osservatore estraneo e distaccato dei suoi personaggi. La povera gente che popola i suoi racconti è frutto delle sue stesse esperienze. L’animo, i sentimenti, le emozioni degli stessi protagonisti sono quelli dell’Autore. Un autobiografismo non di maniera. Piuttosto una testimonianza di un protagonista che affida i suoi ricordi ad una vena lirica e ad una partecipazione struggente.

Ogni racconto è preceduto da “versetti biblici” che hanno il sapore di un “fil rouge”, una chiave di lettura, un ammonimento, un invito ad avere speranza se vogliamo uscire da quei condizionamenti che hanno fatto scrivere la storia millenaria solo ed esclusivamente agli uomini del potere. Anche , forse è più indicato dire, soprattutto, gli umili sono gli autentici personaggi di questi racconti.

Ogni racconto è ricco si presterebbe, in altre epoche avremmo detto “ si presta”, ad un ascolto attento attorno al fuoco di un caldano ed in religioso silenzio. Ogni racconto è una miniera di buoni consigli, di attenzioni, e di rispetto,verso la natura, l’ambiente, le persone, gli animali, le cose…!

<<Quando, avrete bisogno di un riparo, se è sera e anche gli animali sono stanchi, legate la cavezza al basto del ciuccio come lasciandolo libero, vi porterà al riparo più vicino>>, dirà u “zu Carmelo” rivolto a Minicuzzu e Vavannu, due cuginetti e “fratelli di latte, nati lo stesso giorno, nutriti entrambi dalla mamma di Minicuzzu, i cui seni parevano essere stati benedetti dalla Madonna delle balie, al contrario della mamma di Vavannu che nemmeno pareva avesse partorito”. Raccomandazioni per due giovani che intraprendono un’avventura, finita male per la mancata realizzazione; ma benissimo perché hanno trovato la solidarietà di altre persone e, soprattutto delle proprie mogli.

 

Siroru e ru ciucciu (Isidoro e l’asino)” racconta di un giovane, Isidoro, il Renzo Tramaglino di manzoniana memoria, costretto a lasciare il suo paese perché chiamato dai doveri della patria. Parte per la Russia a seguito delle truppe nazifasciste. E la seconda guerra mondiale è presente in un altro struggente racconto, “Giuvà focu a ra cura (Giovanni fuoco alla coda)”.

Isidoro aveva dovuto lasciare una vita dignitosa conquistata contro tutto e contro tutti.

Siroru era il primo della famiglia che godeva pienamente i frutti della lotta di un secolo: <<… contro il fiume, che d’estate è sabbia secca e in certi inverni è un drago distruttore; contro i sassi, alcuni immensi da parere d’aver radici al centro della terra; contro il latifondista che, a cose fatte, pretendeva che quell’angolo fosse suo: contro il demanio che, anch’esso, sempre a cose fatte, reclamava la stessa cosa; contro l’avvocato che soltanto per essere riuscito a far applicare l’usucapione riteneva di dover essere pagato come un principe del foro. Ma, infine, tutte le battaglie erano state vinte. E Siroru ne era orgoglioso, anche perché il nonno prima e il papà poi, nelle lunghe serate invernali davanti ai ciocchi d’ulivo scoppiettanti, erano stati i suoi Omero e Virgilio, che avevano trasformato quella storia di sudore e lacrime in un appassionato infinto poema epico>>.

Siroru arriva in Russia, assiste alla carneficina di soldati italiani, tedeschi, russi e, grazie ad una matura donna russa, Irina, che aveva perso i suoi figli in guerra, si salva e trova rifugio per due anni nella sua casa.

Siroru chiedeva spesso a Irina:

Perché mi hai salvato? Ora sono come un figlio per te, ma prima ero un italiano invasore. Ho sparato contro il tuo popolo, forse contro i tuoi stessi figli!”. E Irina:

<<Italiani, russi, tedeschi… Siamo tutti contadini, il colore della divisa non muta il colore del sangue e del cuore, né l’anima. Tutti, italiani, russi, tedeschi, inglesi… siamo ignorati dai potenti sino a quando c’è una guerra. Poi diventiamo carne da cannone. E’ sempre stato così, sarà sempre così. Tu non hai invaso il mio popolo. Non saresti mai venuto qui di tua volontà. Tu sei stato sequestrato, come i miei figli e hai combattuto unicamente per la tua vita. Ti hanno costretto a uccidere o a morire, come hanno costretto i miei figli>>. E Siroro, quando rientrerà a Rossano, saprà fare valere nei confronti dei potenti i suoi diritti.

 

Prima di concludere desidero soffermarmi su un altro racconto che, sotto certi aspetti ci coinvolge, personalmente e come Comunità niscemese.

Il racconto è “A ciota” (La ritardata).

In un quartiere nascono due bambini,  Graziedda e Nunzio, lo stesso giorno mese ed anno.

Graziedda è ritardata e riesce male a scuola; mentre  Nunzio, che ha problemi fisici e un corpo per niente armonico, riesce bene a scuola. Siccome i famigliari dei due ragazzini godevano di buona salute, le comare del rione si sbizzarriscono sulle cause.

<<Per Ninuzza Mezzacapa, erano state concepite di venerdì o durante la domenica di Pasqua, nonostante il prete avesse raccomandato astinenza in quelle ricorrenze sacre. Per Risulia Malanima, invece, erano certamente vere le voci le quali volevano che entrambi i padri, che lavoravano in Francia, che tornavano solo nelle feste, esageravano peccando con le mogli in quella quindicina che passava troppo veloce. Addirittura, la mattina mandavano i figli a giocare fuori con l’obbligo tassativo di non ritornare prima di un paio d’ore, e pare che sfiancassero  le povere donne, tanto che alla fontana facevano fatica perfino a portare gli orci vuoti, Pasqualina Piscionta, invece, aveva l’assoluta certezza che i due mariti in Francia avevano imparato, e chiesto alle mogli, cose sconosciute, male sporchezze francesi>>.

Graziedda soffriva molto del suo stato perché, avanzando con gli anni, si accorgeva di non essere accettata nemmeno dalla sua famiglia.

All’età di 22 anni si trova in un gruppo di giovani che frequentano la Chiesa Avventista con un missionario, Vincenzo, che riesce a farle acquistare quella fiducia e quella dignità di cui aveva bisogno.

Quando Graziedda riferisce a Nunzio di aver incontrato il missionario, Nunzio racconta ciò che si dice del Pastore Avventista:

<<Il Missionario? E chi è questo Missionario? Forse quel buffo uomo magro vestito di nero con i baffetti alla Charlot che viene in casa vostra in giacca e cravatta? Sempre a braccetto di quella moglie bionda, spilungona, forestiera? Perché la moglie è forestiera, vero? La mamma mi ha detto che don Cucuzzedda, durante la messa, ne ha dette di tutti i colori. Che è comunista, che bestemmia la Madonna e i Santi, che è capace di passare davanti alla Madonna Achiropìta senza neppure togliersi il cappello! E’  un senza Dio. Com’è che lo fate entrare in casa vostra, visto che tua mamma va sempre a messa?”.

 

Ma solo in Calabria la Chiesa Cattolica accoglieva in questo modo gli eredi di Martin Lutero?

Solo a Rossano Calabro veniva riservata questo tipo di accoglienza?

E a Niscemi?

Sentite cosa pensa, subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, un sacerdote niscemese sia dei comunisti che  degli evangelici:

<<E’ anche molto doloroso constatare il progressivo affievolimento del sentimento religioso in questo paese che sino a cinquant’anni addietro era così profondamente cristiano e cattolico. Quel sentimento, per ragioni facilmente comprensibili, è venuto meno.

Dacché cominciò il movimento socialista, poi durante il fascismo e, peggio, con la Camera del Lavoro comunista, si è tentato mettere in discredito i preti e la religione e ad inaridire la vita spirituale anche delle povere donne. Per conseguenza la vita morale declina; non c’è più nelle famiglie l’antica e severa disciplina; da per tutto è disagio, incertezza, invano s’invoca la pace e la serenità dello spirito.

Ma vi è di peggio. Nel 1950, per opera di un ignorante e incosciente calzolaio, venne in Niscemi un pastore protestante che tosto fece proseliti, qualificandoli evangelici: e poi tornando ogni sabato, intensificò una propaganda che preoccupò i veri cattolici. Alla periferia del paese e nel rione Vacirca, quel Pastore trovò una casa che convertì subito in nuda e squallida chiesa, ove ogni sabato convengono gli Evangelici (che oggi sono molto numerosi) specialmente donne che ascoltano gli insegnamenti del Pastore, pregano, cantano; e mostrano tale fervore e profonda convinzione che non hanno i cattolici. Ignoriamo cosa si è fatto per impedire l’opera e la propaganda di questi sedicenti Evangelici; ma la loro attività in Niscemi, ove il basso popolo ignorante è curioso e amante della novità, fa temere in molti la perdita della fede>>. Canonico Rosario Disca, Niscemi e il suo territorio, di prossima pubblicazione.

E non è tutto.

Nel giugno del 1961, frequentavo la terza classe magistrale a Vittoria e preparavo una vacanza lavoro estiva in quel di Uster, in Svizzera. Saputa la notizia il nostro insegnante di religione, don Mario Ciancio, mi prese da parte, alquanto preoccupato, ed ebbe a dirmi: “E’ vero che vai in Svizzera? Figlio mio, stai attento. In Svizzera ci sono i protestanti!”. Arrivato ad Uster presi contatto con il missionario della Chiesa cattolica, don Filippo Menghini, con il quale instaurai un bellissimo rapporto durato fino alla sua scomparsa. E fu proprio lui che mi ha regalato una bellissima serata, ricca di emozioni e di discussione,  invitandomi una sera ad una cena proprio in casa del pastore protestante, suo grande amico e sodale nella condivisione della solidarietà nei confronti dei sofferenti di qualsiasi nazionalità.

Io, sopravvissi , e sopravvivo, ai protestanti e ritornai in Svizzera definitivamente, l’anno successivo.

Ironia del destino. Dopo qualche tempo gli amici di Vittoria mi hanno informato che don Mario Ciancio ha lasciato gli abiti talari è convolato a nozze ed ha messo su una bellissima famiglia.

Così come è capitato a Graziedda e  Nunzio che, unendo ognuno le proprie caratteristiche, hanno convolato a nozze e dato alla luce dei bellissimi bambini.

La situazione a Niscemi è cambiata e di molto. Ricordo, qualche anno fa, le manifestazioni in comune tra la parrocchia delle Anime Sante del Purgatorio di don Lillo Buscemi e gli Evangelici della Chiesa Avventista del 7° Giorno in occasione dell’uscita del libro di Dam Brown “Il Codice da Vinci”.

Buona lettura di questo interessantissimo libro di Rolando Rizzo e grazie per l’attenzione prestatami.

Rosario Antonio Rizzo

Niscemi, 31 maggio 2014

 

Relazione di Ylenia Russo durante la presentazione alla libreria Prampolini giovedì 29 maggio 2014

 

Cieli tamarri.

 

Cieli Tamarri è una raccolta di 15 racconti, tutti ambientati a Rossano, terra d’origine dell’autore, negli anni ‘40 e ‘50.Sono storie di cui si sente la verità anche se, come si legge nell’introduzione, non si tratta di opera storica ma di narrativa. L’ideale estetico è quello della verosimiglianza: far rivivere attraverso la scrittura storie e personaggi che hanno “sfiorato la vita o l’immaginazione dello scrittore”. L’opera è stata accostata a quella del Verga ma come fu per Manzoni, a mio umile parere, la scrittura persegue un fine didascalico, di verità e utilità. Didascalico perché l’opera risponde all’esigenza dell’impegno morale dell’autore che vuole comunicare principi morali e religiosi. La poetica del vero è perseguita facilmente perché si rappresenta la realtà senza astrazioni e artifici; e l’opera appare utile a noi contemporanei  perché Cieli tamarri tramanda alle nuove generazioni la memoria di un passato emblematico.

Il significato universale dei 15 racconti contenuti nell’opera è sottolineato dalle citazioni bibliche che introducono ogni piccola storia, illuminandola di verità profonda e di fede radicata. Infatti la rappresentazione seria del quotidiano acquista profondità dalla tragicità che in essa è insita se inserita globalmente nella lettura biblica.

La realtà di cui Rizzo vuol fornire un quadro nella sua opera è quella dei tamarri ,dei numeri ultimi di Rossano,in Calabria durante gli anni della Seconda Guerra Mondiale.

Ma chi sono i tamarri? Sono i piccoli,gente del popolo minuto: raccoglitori di noci, di olive, contadini, prostitute, assassini, calzolai e artigiani. Sono i “tamarreddi”, come fa dire l’autore alla moglie di

Minicuzzu: ”formiche che i soldi sono in grado di guadagnarli unicamente sommando nel tempo piccoli centesimi ad uno ad uno”. Sono i poveri di Javhè, il popolo delle beatitudini che attende un riscatto, che aspetta, che spera, che lotta. Hanno fame e aspettano di essere saziati, piangono e aspettano di ridere, sono odiati

e rifiutati, insultati e disprezzati e cercano un  loro spazio vitale che a volte trovano dopo una lunga sofferenza.

Non vinti ma popolo in cammino, servi sofferenti nelle mani del Padre, che a loro provvede.

Come nel caso de “La ciota” , Graziedda, la ritardata che, a causa del suo stato era sempre nella bocca delle comari e delle bizzocche che “passavano giornate intere nei vicoli a sferruzzare e a pettegolare”. Lei, Graziedda, piangeva silenziosamente perché “era  ciota,era l’unica cosa che aveva capito bene”. Anche sua madre ,ormai rassegnata, soffriva per questa  figlia ritardata, buona a nulla, “utile solo per riempire  d’acqua gli orci alla fontana” ,figlia di cui si vergognava, tanto da non mostrarla in società. Finchè la grazia arriva tramite la persona di un missionario avventista che prende a cuore la bambina ciota e le dà la speranza che ormai aveva perso,restituendole dignità , rispetto e la voglia di vivere.

A volte, infatti, ricorre la figura dell’uomo di fede, la cui spiritualità arriva come luce sin dove vi sono tenebre e peccato. La lettura della parola evangelica rischiara i “cieli”tamarri ,li impreziosisce,li completa,dà loro un senso altrimenti perduto dalle miserie umane. La religione sembra l’unica vera forza  in grado di cambiare l’animo umano e la storia, segnata da guerre, violenze e ingiustizie. La stessa fede, vissuta profondamente dall’autore, inficia la prospettiva del racconto, pregna d’amore per ogni personaggio descritto, mai in maniera superficiale o retorica, ma sempre vero e dettagliato. L’amore per i più umili e per i piccoli conducono Rizzo ad assimilarsi ad essi, tanto che nel racconto “U professoru” compare egli stesso protagonista al tempo in cui era un giovane scolaro irrequieto alle prese con i maestri. Dallo sguardo solidale con i tamarri scaturisce una visione critica del mondo che li circonda. I potenti assumono un aspetto ferino, aggressivo, pericoloso. Essi attentano alla purezza  e persino alla vita dei tamarri. Risuona un verso del vangelo: ”vi mando come pecore in mezzo ai lupi”. E lupi sono, infatti, tutti coloro che esercitano ogni forma di potere o detengono il possesso di qualcosa:dal Pituso,proprietario di una cantina che schiavizza Daviru u strampalariu al latifondista, descritto come un grosso gatto selvatico seduto su una poltrona nera e con gli occhi gialli,pronto ad aggredire la preda. Ma sono i potenti, “i sacerdoti dell’inferno”, ad agitare le guerre,”incubi di fuoco e di fiamme”,a portare la distruzione tra gli inermi,”ad arruolare contadini come fossero carne da cannone,costringendoli ad uccidere o morire”.

Gli umili patiscono e pregano nella valle del Cino, ”quell’oasi di zagara e di camino”,”un angolo strappato al bosco e al fiume”, un giardino odoroso strappato alle mani di Dio ,ben descritto dallo sguardo innamorato dell’autore, che non perde mai occasione per parlarne utilizzando tutte le sue facoltà sensoriali: di questa natura incantata sentiamo i profumi,vediamo i colori,tastiamo la terra,ascoltiamo i rumori ,coinvolgendoci totalmente.

Gli abitanti vivono in piena armonia con la natura ,all’interno della quale sono  re e regine nel proprio regno,donato loro da Dio,fonte sicura di gioia e consolazione,vera ricchezza degli umili.

Mi balza alla mente un dipinto del grande pittore realista Jean Francois Millet “L’Angelus”, in cui natura e uomo sono legati indissolubilmente: il lavoro dei campi si ferma, la natura commossa accoglie e partecipa ,in una calda luce dorata,all’accorata preghiera di due poveri e devoti contadini.

Un salmo mi preme condividere con voi e che mi sembra ben adattarsi alle brevi considerazioni finora fatte ed è con queste parole che mi congedo:

Signore ,non si esalta il mio cuore,

né i miei occhi guardano in alto

non vado cercando cose grandi

né meraviglie più alte di me.

Io invece resto quieto e sereno:

come bimbo svezzato in braccio a sua madre,

come un bimbo svezzato è in me l’anima mia.

Israele attenda il Signore,da ora e per sempre.

 

 

Relazione inviata e letta durante la presentazione al Salone del libro di Torino da parte della scrittrice Maria Fontana Ardito

 

Volevo venirci a Torino per la Fiera del libro 2014 e partecipare nello Stand Calabria alla

presentaz:ione del libro di racconti di Rolando Rizzo, ma impegni istituzionali me lo hanno

impedito.

Sono davvero dispiaciuta, anche perché avrei potuto prendere visione dei tanti e buoni libri

che si pubblicano nella Regione nella quale vivo e lavoro.

Pertanto, invio all’Autore di “Cieli Tamarri. La comunione dei numeri ultimi” e ai

partecipanti all’evento culturale queste poche righe, che vorrebbero spiegare in sintesi le

mie impressioni di lettura.

Intanto dico che è un bel libro, stampato bene, con una copertina che si fa ammirare, merito delle Edizioni Periferia con le quali ho pubblicato quasi tutti i miei romanzi e testi vari.

 

Rolando Rizzo conosce sicuramente il”mestiere di scrivere e utilizza questa sua dote per

raccontare storie minime’dei “numeri ultimi”, quelli che la sua memoria rievoca in

affreschi pregni di territorialità, la sua città di Rossano e dintorni, e umanità.

 

I protagonisti dai nomi dialettizzati in sintonia con il loro parlato sono riappropriazione di  un tempo memorabile trascorso dal Rizzo nella sua terra d’origine. Scandaglio di ricordi,

ma sorprendenti,rispetto al modello à rebours. Non più esplosioni emotive per un

paesaggio, non solo umano, ritrovato, bensì l’estensione memoriale alla “religiosità del

suo tempo”. Sicché ogni storia si progetta e sviluppa in uno spazio di comunioni tese a

dimostrare valenze culturali e sociali in progresso, in un tempo triste riconoscibile, quello

post bellico, coincidente con la residenza rossanese del Rizzo. Una letteratura di

coraggio,dunque, che sfida la logica verghiana dei “vinti”,attraverso un supporto più che

politico, direi religioso, accelerazione questa che sta tra lo scritto religioso-salvifico e la

lotta,entrambi compartecipi, in comunione, al riscatto e all’emancipazione umana,sociale e

culturale di un territorio e della sua storia.

Comunque in grado di emancipare l’uomo e la storia della terra di Calabria.

 

Per meglio spiegarmi vorrei utilizzare l’assunto del breve e paradigmatico racconto dal

titolo ” U professoru” (ll maestro elementare) anche per restare net territorio scolastico

dove esercito la mia professione. E’ qui che l’alunno Rizzo, giocosamente chiamato

Fruscio da un maestro “nuovo’, dei tempi nuovi,quello che concorre a una svolta epocale

della scuola italiana degli anni ’50, attraverso le sue lezioni che definirei di amore e di

ricerca dei valori più sani della vita, rinvenibili agevolmente già nel paesaggio più

immediato e vicino, prospetta i significati sottesi alle trame dei suoi racconti.

Tutti pregnanti di vocazioni all’autostima, in una terra di mancanze e di assenze.

Dalla pedagogia dell’autostima dunque,

Fruscio e tanti come lui come lui realizzano il sé compiuto negli altri, una “comunione dei numeri ultimi appunto, sottotitolo quanto mai eclatante dei “Cieli

tamarri”, delle direzioni sottese a un testo letterario che va letto e meditato da quanti

tengono a cuore la propria terra di Calabria di cui  Rizzo mi sembra innamoratissimo.

 

Maria Fontana Ardito

 

 

 

 

 

 

 

 

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