Perché gli Avventisti del 7° giorno hanno scelto l’astinenza dagli alcolici

Il gatto e la tigre

 

Accanto al fucile appeso al muro, per un certo tempo mio nonno teneva appesa la pelle di un gatto selvatico che con quella doppietta aveva ucciso.  Quell’animale faceva paura anche da morto. Incontrarlo nel bosco poteva costare un viso sfregiato ma, comunque non era la stessa cosa che incontrare un tigre.

Avventista convinto sin dall’infanzia, la mia identificazione con la chiesa trovava, nell’adolescenza, un solo grosso scoglio: l’astinenza dalle bevande alcoliche.

Nella mia cultura d’origine, il bicchiere di vino era il simbolo stesso della festa. Nella mia numerosissima famiglia, che si componeva di almeno un centinaio di persone, tutti bevevano un bicchiere nei momenti di festa, nessuno era un alcolizzato. E a me pareva allora, come ancora oggi dopo 24 anni di ministero pastorale, che non esiste una proibizione assoluta delle bevande alcoliche né nell’Antico Testamento né nel Nuovo.

È anche vero, che ogni tanto, autori di vario talento, pubblicano lavori per dimostrare che questa proibizione esiste. Io ho sempre letto questi tentativi, sperando sempre di trovare quella parola definitiva, che mi avrebbe fatto molto comodo per rispondere alle numerose obiezioni che l’astinenza ha sempre incontrato nella chiesa. Alla fine però, tutte queste letture hanno prodotto in me l’effetto contrario.

Ho la profonda convinzione che ai tempi dell’Antico Testamento il bere moderato era considerato compatibile con la fede in Yahweh, e credo altresì che fosse considerato compatibile anche nella chiesa apostolica. Almeno cinque i motivi di questa mia convinzione:

  1. La filologia, sempre invocata da questi autori, non prova nulla; perché se esistono vocaboli dal significato prevalente, non esistono quelli che in assoluto distinguano il succo d’uva dalle bevande fermentate.
  2. La legge di Mosè, così densa di minute proibizioni su ogni aspetto della vita, compreso un minuzioso elenco di cibi, non contiene nessuna proibizione radicale sulle bevande alcoliche, quando sarebbe stato molto semplice esprimerla.
  3. La storia dell’ebraismo non riporta nulla su questa pretesa legge.
  4. I testi, che proibiscono le bevande alcoliche durante l’esercizio di certi ministeri o per certe vocazioni (cfr. Levitico 10:8-11; Proverbi 31:4-5; Numeri 6; Giudici 13:13,14) – forse anche agli anziani della chiesa cristiana nascente (Tito 3:3) – se dimostrano che l’ideale biblico fu certo l’astinenza, dimostrano altresì indirettamente ma inequivocabilmente, che una proibizione generale non c’era.
  5. In questi lavori l’interpretazione di brani come 1 Timoteo 3:8 e Deuteronomio 14:21-29 raggiunge spesso il ridicolo.

Ciononostante, oggi sono un astemio convinto e ritengo che la chiesa non possa che avere una posizione radicale sulle bevande alcoliche, ma affermando chiaramente che essa è dovuta, non al rispetto di una proibizione biblica assoluta che non c’è, ma a una necessaria lettura teologica della Bibbia.

Indirettamente, anche Ellen White ci invita a questo tipo di lettura quando ci chiede di leggere i suoi scritti tenendo conto “del tempo, dei luoghi, delle circostanze”. Sono gli stessi sani criteri di lettura della Bibbia che ci portano ad esaltare il matrimonio monogamico e a disprezzare l’istituto della schiavitù.

In un mio lavoro1 ho mostrato, con un’ampiezza che i limiti del presente articolo non mi consentono, che una seria lettura teologica della Bibbia, non può accontentarsi di stabilire ciò che Dio ha detto ieri (base ineludibile per ogni teologia) agli uomini biblici, alla loro missione e responsabilità. Essa, se vuole essere seria, deve anche tentare di capire ciò che Dio dice oggi alla nostra missione e responsabilità. I tempi infatti mutano i contenuti delle cose.

Sulla base di questo principio, Dio che cosa ha detto ieri agli uomini biblici (alla loro missione e responsabilità storica) sul tema bevande alcoliche?

  1. Non ne ha proibito universalmente l’uso.
  2. Ne ha mostrato il potenziale devastante attraverso esempi negativi (Noè, Lot, ecc.) e dichiarazioni formali (cfr. Proverbi 23:39-34).
  3. Ha determinato che perfino un suo uso moderato fosse incompatibile con certe vocazioni (cfr. Numeri 6; Giudici 13:14), e ha ingiunto a certe figure di non farne assolutamente uso durante l’esercizio di funzioni in cui era necessario il massimo delle prestazioni cerebrali (cfr. Levitico 10:10; Proverbi 31:4,5).
  4. Alcuni pochi testi sembrano esaltarne le qualità euforiche (cfr. Deuteronomio 14:22-29; Amos 9:14; Zaccaria 10:7), ma in ognuno di questi testi la bevanda alcolica è solo simbolo poetico di festa e di abbondanza, e non è mai il motivo di fondo per cui quella frase è stata scritta.

Ma, Dio che cosa dice oggi a noi, alla nostra missione e responsabilità storica? Per cercare di stabilirlo, è necessario ridefinire il significato di bevanda alcolica. La diversità della stessa e del contesto sociale e umano in cui essa oggi si pone, annulla l’antica definizione e crea un fenomeno assolutamente nuovo e agghiacciante.

Sette fattori attuali trasformano radicalmente il significato che ha avuto la bevanda alcolica dai tempi biblici alle soglie del mondo moderno, e ne fanno oggi il killer sociale numero 1 dell’intero pianeta. Un killer cui una comunità cristiana, cosciente della propria vocazione, non può che opporre una radicale resistenza:

  1. L’ampia scelta. Le sole bevande alcoliche che gli uomini biblici conoscevano erano il vino e la birra. Oggi sono migliaia in tutte le culture e aumentano ogni giorno. Una pubblicità pressante è riuscita a farne la necessità di ogni momento della vita, soprattutto se lieto. Non è raro che in una normale cena tra amici si consumino in quantità diverse 8-10 bevande alcoliche diverse.
  2. L’alta gradazione. La bevanda alcolica media dei tempi biblici (che non conosceva la distillazione) non superava i 9-10 gradi; in certi casi poteva raggiungere estremi di 15-16 gradi. Usando la metafora della droga, allora, esisteva la possibilità dello spinello da cui, però, era impossibile passare all’eroina. Oggi si va dai 5-6 gradi dei wine cooler, ai 7-8 gradi degli spumantini, ai 40 gradi e oltre della Vodka, passando per gli amari detti digestivi con 35-40 gradi… L’alcolismo nasce spesso dall’accumulo giornaliero di piccole dosi di varie bevande alcoliche.
  3. L’associazione ai farmaci. Moltissimi farmaci odierni, soprattutto gli psicofarmaci e gli ansiolitici, nonché il tabacco… innescano miscele distruttive.
  4. La facile reperibilità. Nel passato, le bevande alcoliche si trovavano nelle rare cantine dei ricchi e nelle poche bettole, ai crocicchi delle strade e nei villaggi. Anche volendo bere, la possibilità di reperirle era molto complicata. Le bevande alcoliche venivano consumate prevalentemente nei giorni di festa. Oggi, non solo si possono reperire bottiglie in ogni angolo di strada, ma ogni casa media è fornita di un piccolo bar.
  5. Costi bassi. Appena quaranta anni fa, nel mio paese, prevalentemente agricolo e grande produttore di vino, un litro di vino costava almeno un quinto del salario giornaliero di un bracciante. Oggi, con il quinto del salario di un bracciante, si possono comperare almeno 7 litri di vino. Gli alcolici in genere, nei paesi occidentali, soprattutto se locali, sono i prodotti che costano meno. Bere costa molto poco.
  6. Un forte quadro pedagogico. Un adolescente dei tempi biblici, quando vedeva il proprio genitore bere aveva scarsissime possibilità di imitarlo lontano dalle feste. Non c’era nessuna TV che lo spingeva a bere, nessuna immagine che associava l’alcol al successo e alla forza. Non c’erano le mille occasioni di bere, sniffare, fumare, che oggi, con il denaro in tasca, un ragazzo può incontrare a ogni angolo. Il ragazzo di allora, viveva la maggior parte del suo tempo nell’ambito della famiglia patriarcale formata da genitori, nonni, zii e fratelli maggiori. Una fortezza pedagogica contro il vizio che oggi non esiste più.
  7. Il bisogno superiore di prontezza mentale. Se l’uomo dei tempi biblici, che camminava a piedi o a cavallo, aveva un gran bisogno della presenza mentale, oggi, che abbiamo tra le mani bolidi che corrono a 200 km all’ora, il bisogno di lucidità è sicuramente centuplicato. Non solo sulle strade, ma ovunque, il mondo moderno ci mette tra le mani comfort straordinari, ma spesso ognuno di questi può trasformarsi in strumento di morte. In Italia, 10.000 persone l’anno muoiono per incidenti stradali. Circa il 50 per cento sono causate dall’alcol. 8.000 persone muoiono invece per incidenti domestici (gas lasciato aperto, cadute, incendi causati da elettrodomestici gestiti male, ecc.) e anche in questo caso l’alcol fa la parte del leone.

Questi sette fattori, spesso combinati insieme, fanno della bevanda alcolica il killer sociale numero 1 dell’era moderna. Le sue conseguenze, silenziose nella maggior parte dei casi, sono flagelli di un’immane guerra invisibile che uccide e mutila nel corpo e nello spirito un’immensa folla di esseri viventi. Solo un dato per tutti: statistiche realizzate in tutti i paesi occidentali rivelano con variazioni infinitesimali che sono quattro le principali cause di morte prematura:

  1. Malattie cardiovascolari
  2. Tumori
  3. Alcol
  4. Incidenti stradali.

In assoluto, l’alcol è al terzo posto; ma è agghiacciante sapere che concorre fortemente nelle prime due cause, e nella quarta è responsabile del 40-50 per cento dei casi.

Ma la morte non è sempre il più terribile dei mali. L’alcol la fa da padrone riguardo alle voci come: violenza, soprattutto sulle donne e sui bambini, malattie mentali, irresponsabilità sociale, crimini.

La società sembra temere soltanto le droghe illegali. Eppure l’alcol è la più devastante delle droghe.

In un paese come l’Italia, dove muoiono per droga circa mille persone l’anno, ne muoiono cinquantamila per alcol. Nel mondo l’alcol provoca una vera e propria ecatombe ogni giorno; è il maggiore fattore d’infelicità e di morte che opera al presente sulla terra.

Un minuscolo paese come l’Austria conta 300.000 alcolizzati, 2.000.000 la Spagna, 800.000 l’Italia, per non parlare dei paesi dell’est che hanno tutti cifre altamente superiori.

Non è sorprendente che Ellen White, motivando la posizione dei nostri pionieri sulle bevande alcoliche, abbia scritto oltre un secolo fa: «Satana aveva riunito gli angeli decaduti per cercare insieme a loro il modo di fare del male alla famiglia umana. Vennero esaminate varie proposte e infine fu Satana stesso a ideare un piano. Avrebbe preso il frutto della vigna, il frumento e altre cose che Dio aveva dato come alimento e li avrebbe trasformati in veleni, per rovinare il corpo e le forze morali degli uomini, impadronendosi così dei loro sensi e sottomettendoli completamente al suo volere. Sotto l’influsso dei liquori, gli uomini si sarebbero corrotti. Guidando gli uomini verso l’alcol, Satana li avrebbe fatti scendere sempre più in basso».2

«Ben presto si vedranno le conseguenze di questa terribile piaga».3 «Non combattiamo finte battaglie. La lotta in cui siamo impegnati ha ripercussioni eterne. Il nostro nemico è invisibile, gli angeli del male stanno lottando per dominare ogni essere umano».4

Una posizione di astinenza è oggi fondabile sulla Bibbia. L’astinenza era già un’ideale biblico quando la bevanda alcolica era un piccolo problema. Essendo l’amore il centro della Rivelazione, oggi, che la bevanda alcolica è il maggiore dei nemici della salute fisica, mentale e spirituale dell’uomo, e per gli innocenti che vengono al mondo, l’astinenza è l’unica posizione biblicamente coerente con le finalità della Rivelazione biblica.

E non è per nulla sorprendente che un teologo famoso come Brunner, non proprio un conservatore, abbia scritto: «Oggi, non sono – i cristiani – astinenti, a dovere giustificare questa posizione, ma quelli che la rifiutano a dover giustificare la loro».5

Note

  1. Rolando Rizzo, Stretti sentieri di libertà, Edizioni ADV, Firenze, 1990.
  2. E.G.White, Temperance, (Nampa, idaho, Pacifique Press, pub. Assn, 1949) p. 12.
  3. E.G.White, Sulle orme del gran Medico, Edizioni ADV, Falciani, 2000, p. 185 (346).
  4. Ibidem, p. 65 (128).
  5. Emil Brunner, citato da Servir, rivista pastorale della Divisione Euroafricana, n. gennaio ‘83, p.3