Successo evangelistico, responsabilità pastorale e Spirito Santo

Le responsabilità della scarsa crescita  della nostra chiesa in Italia

Il tema e la dialettica in merito sono certamente vecchi ma, purtroppo è sempre attuale; e le opinioni in merito non sono sempre equilibrate, informate ed evangeliche. A volte procurano anche scoraggiamento e dolore. Credo sia opportuno riparlarne cercando di evidenziare la verità dei fatti.

Troppo spesso compaiono addirittura sui social (dove mai dovrebbero comparire)  accuse pesanti a singoli pastori,al corpo pastorale o alla spiritualità della comunità degli avventisti in Italia nel suo insieme.

Nulla di male se si trattasse di critica  leale, corretta e informata (quella sui social non può essere leale per principio) ma spesso corretta  non e informata nemmeno, e allora rischiamo di ragionare di questioni vitali attraverso l’ignoranza e la maldicenza.

 

Una delle critiche più feroci lette negli ultimi tempi sul corpo pastorale riguarda la scarsità di successo evangeli stico che  sarebbe la prova del nove della sua poca consacrazione, della sua scarsa dimestichezza con lo Spirito Santo.

 

Per anni ho avuto il polso del corpo pastorale essendo stato chiamato ad operare in ambiti specifici. Come responsabile della GA per undici anni, di responsabile di campo per sei anni, di responsabile dell’Evangelizzazione: sei anni per le Attività laiche dell’Unione, cinque anni per le attività evangelistiche.

Oggi vivo in periferia. Non conosco come prima il lavoro delle nuove generazioni pastorali. Parlo perciò in linea di principio. Ma non prima di due premesse doverose:

1 – Nell’ambito delle mie responsabilità, In numerose occasioni pubbliche, in diversi scritti, e in incontri privati, ho sempre sostenuto che il pastore che non mette anima e corpo nell’evangelizzazione e che non pone in atto programmi intesi a cercare anime con cui aprire la Parola di Dio, non può essere considerato un pastore avventista e perciò dopo avere posto in atto iniziative in suo favore per aiutarlo a diventare tale, in assenza di risultati verificabili va licenziato o posto a operare in settori dell’opera a lui più congeniali, se ci sono.

 

2 – Non ho mai considerato l’Evangelizzazione il mio dono maggiore ma, proprio per questo ho sempre molto lavorato per quaranta anni sperimentando ogni metodo che mi è stato insegnato,dal lavoro di porta a porta alla Conferenza Evangelistica, ottenendo per grazia di Dio la gioia di vedere anime conquistate dalla parola.

Parlo perciò con cognizione di causa, almeno a livello di principio. E proprio per questo trovo assurde, in linea di principio, l’equazione che viene spesso fatta tra scarsità di crescita e la consacrazione pastorale e comunitaria.

E’ questa è spesso considerata la prova del nove della spiritualità e della consacrazione. Quando accade è grave.

Certo, in Italia siamo pochi, i battesimi sono rari. Su questo nessun dubbio. Ma la critica rimane ignobile lo stesso perché sputa sul lavoro appassionato e intenso di tanti servitori della chiesa, e sul mio, fatto con preghiere, sacrificio e lacrime per quasi mezzo secolo.

Pur partendo dal presupposto che L’Evangelizzazione come gioioso annuncio, di libertà, di liberazione., di speranza, di fraternità ha i suoi paradigmi nella teologia della Creazione e della Redenzione e che una chiesa autenticamente cristiana non può non avere una marcata dimensione evangelistica poiché “La grazia di Dio, salvifica per tutti gli uomini, si è manifestata.” La chiesa non può che essere una comunità testimoniale poiché nell’ideale divino essa è “Il corpo di Cristo”. : l’espressione visibile della sua persona.

I motivi di questa mia indignazione comunque rimangono e sono:

I – L’Evangelizzazione in Italia è sempre stata una pesca con l’amo e i suoi risultati sono sempre stati assai piccoli.

La testimonianza avventista giungerà nello stato unitario nel 1864 solo tre anni dopo la sua costituzione.
Il pioniere dell’ Avventismo italiano ed europeo sarà infatti M. B. Czechowski, un ex frate polacco che aveva aderito all’Avventismo nell’Ohio nel 1857 e che scelse per la sua prima testimonianza in Italia, le Valli Valdesi, dove operò per 14 mesi tra roventi opposizioni.

Nel 1876 però, dopo 12 anni, la sola avventista in Italia era Caterina Revel isolata nelle valli Valdesi.

Le dimensioni del successo evangelistico
La testimonianza avventista in Italia iniziata nel 1864, continuò sia attraverso l’opera di semplici credenti che da inviati dalla Conferenza Generale, suscitando minuscoli nuclei avventisti in città come Napoli, Barletta, Bari, Torino, Genova, Roma…Ma anche in centri rurali come Montaldo Bormida.
In un rapporto letto alla Conferenza Generale del 1909, in Italia, dopo 45 anni di testimonianza, vi erano però soltanto 46 avventisti 26 dei quali a Torre Pellice.
Tra il 1908 e il 1912 la Conferenza Generale assunse a pieno tempo e preparò dei membri locali come pastori pionieri quasi tutti provenienti dalla chiesetta avventista di Gravina di Bari (Lippolis, Sabatino, Cupertino).
Nel 1918, dopo 74 anni, i membri raggiunsero le 110 unità raggruppati in 7 comunità.
Il periodo forse più felice della testimonianza avventista si ha tra il 1918 e il 1928. Il decennio di fine della guerra più disastrosa della storia sino a quel momento.

Dieci anni alla fine dei quali i membri sono quasi quadruplicati raggiungendo le 410 unità raggruppati in 17 comunità organizzate.
Negli anni successivi, attraverso il sostegno economico e umano dell’organizzazione mondiale, vengono posti in essere le classiche strutture avventiste di supporto evangelistico:
• Il colportaggio evangelistico (1922)
• Una casa editrice (1926)
• La federazione delle Chiese (1928)
• La scuola Teologica per la formazione pastorale(1940)
• Il Corso Biblico per corrispondenza (1947)
• Radio libere (1980)

La presenza avventista continuò sempre a crescere ma, nonostante la forte vocazione evangelistica e i mezzi notevoli impiegati, l’evangelizzazione è stata sempre una pesca con l’amo.

Nel 1963 i membri avevano raggiunto solo 3.019 unità organizzati in 58 chiese. Se si fosse mantenuto il coefficente di crescita del decennio 1918- 1928 i membri sarebbero stati quasi 30.000.

30 anni dopo, nel 1993, i membri saranno 5210.
Dall’anno successivo in poi la chiesa avventista crescerà notevolmente in rapporto al passato ma non a causa dell’Evangelizzazione.
Verso la fine del 2013 i membri iscritti nei registri di chiesa saranno 9548. Ma molti di loro, almeno 5000, sono fratelli che già avventisti hanno raggiunto l’Italia come immigrati:
Dal 1997 al 2011 sono entrate nelle comunità italiane 6079 fratelli immigrati.

II – I piccoli numeri hanno sempre accompagnato l’Evangelizzazione in Italia come l’Evangelizzazione in Europa, sin dall’inizio.

Il primo evangelista che La Conferenza Generale inviò in Europa fu John Nevins Andrews. Ellen White, il personaggio più autorevole tra i pionieri, lo definì “l’uomo più capace ”del momento.

I suoi numeri sono stati piccoli come quelli di tutti.
L’uomo più capace dell’ Avventismo americano, in una lettera ai suoi responsabili, dopo qualche anno di duro lavoro, esprime tutto il suo disagio per gli scarsi risultati. Scrive infatti:
“Li (in America) se un consiglio è dato sarà generalmente almeno considerato subito. Ma qui in Europa sarà ascoltato rispettosamente, senza però produrre il minimo cambiamento.
…Ho cercato prudentemente di cambiare e correggere diverse cose, ma ho trovato che è come arare su una roccia….”

Andrews nel suo candido e sconsolato rapporto rileva i due problemi di sempre della testimonianza in Europa: le difficoltà di ricezione esistenziale da parte dell’europeo medio del messaggio avventista (ed evangelico) e i difficili problemi di coesione.
Ellen White venne in Europa e ci visse dal 1885 sino al 1887; visitò tre volte i pochi avventisti nelle valli valdesi, espresse grosso modo le stesse convinzioni in una lettera scritta nel 1886.
L’autorevole pioniera scrive a ridosso di una celebrazione battesimale di una decine di persone che rappresentavano vari paesi di Europa nel 1°Congresso Europeo:
“Ci rallegriamo che un numero così grande di persone accettino la verità…Si tratta di un successo dovuto ad una speciale benedizione divina. E’ più facile conquistarne venti in America che un solo qui.”

Sia Ellen White che Andrews individuano subito le cause del successo evangelistico che negli anni 80 saranno documentati da numerosi studi “scientifici”sulla Crescita della Chiesa.

Negli anni 80 uno straordinario missionario Ostervald presentò in un Convegno Pastorale durato una settimana, una serie di studi ricavati da numerose opere di ricerca compiute da Istituti per la crescita della chiesa in varie denominazioni.
I risultati di questi studi sono inequivocabili: la crescita numerica della chiesa ha la sua causa principale nella Cultura nella quale il messaggio viene recepito.
C’è una relazione strettissima tra annuncio-Cultura-Accettazione del messaggio.
(
III – Gli incompetenti in materia considerano solo due dei tre fattori che fanno il successo evangelistico: Il Messaggero e lo Spirito Santo. A questi due fattori va aggiunto il soggetto che si evangelizza che non è una marionetta in balia dello S. Santo ma un essere umano dotato di una sua volontà.

Che la Cultura (intesa come insieme di abitudini, modi di sentire, tradizioni, ambiente, storia …) è il fattore determinante nei numeri grandi o piccoli del successo evangelistico è provato da seri argomenti a cui ho dedicato un libro e che lo spazio mi impedisce di ripetere. Mi limito a citare quelli più semplici e empirici:

a –I Testimoni di Geova, che molti portano ad esempio credendo che crescono per il loro lavoro, crescono in Occidente ma crescono in maniera assai più modesta nei paesi dove noi cresciamo parecchio: Asia, Africa, sud America…Tanto è che sono complessivamente meno della metà degli avventisti. Perché?

B – Grandi evangelisti sud americani avventisti dopo avere realizzato caterve di battesimi, venuti in Europa hanno realizzato le stesse cifre se non inferiori agli evangelisti europei. Perché?

C – Pastori italiani nelle missioni hanno fondato numerose chiese o hanno ingrandito le piccole comunità d’origine, una volta in Italia, hanno raggiunto i risultati degli altri. Perché?

C’è un solo perché ed era stato identificato dal primo grande missionario americano in Europa: “Qui è come arare sulla roccia.”

Io non ho mai calcolato i battesimi celebrati dopo avere con sacrificio, preghiera e lacrime arato sulla roccia. Quelli però che ho celebrato li ho nel cuore, sono stati un miracolo di Dio come quelli di tutti i miei colleghi e provo un dolore immenso quando qualcuno spara slogan intrisi di fiele senza sapere quello che dice.
La stragrande maggioranza dei pastori che io conosco non sono diventati pastori perché cercavano un lavoro, spesso hanno lasciato lavori ben remunerati per vocazione. Hanno accettato di arare sulla roccia per amore e devono essere giudicati uno per uno per quello che fanno nel contesto in cui la chiesa li ha posti non sulla base delle fantasie spiritualiste di incompetenti.