Pastore Giovanni La Marca

Il pastore emerito Giovanni La Marca ci ha lasciato a pochi mesi dal compimento dei 100 anni di età. I funerali si svolgeranno domani alle 10,30 nei locali della chiesa di Bologna.
Ho avuto il piacere di lavorare assieme a lui. Pubblico ciò che scrissi sui di lui ancora in vita per onorare la parte non piccola che ha avuto nella individuazione e nello sviluppo di Casuccia Visani.
Nella foto è la figura con la camicia bianca intento a riflettere su come trasformare quei ruderi in Casuccia Visani
Ugo Visani ormai divenuto il direttore GA dell’Unione Sud Europea, mi fece capire i vantaggi di un centro giovanile tutto nostro;, attrezzarlo in maniera polivalente, avrebbe potuto essere utilizzato
per i corsi di formazione, per gli incontri pastorali ma, soprattutto, sarebbe stata la casa propria della gioventù, un efficace strumento d’identità.
Io me ne convinsi ben presto, e così esposi il problema al primo comitato di Federazione, ma in cassa c’erano solo venti milioni. Vi ritornai sovente, finché una volta un suo membro spazientito mi disse: “Rolando, cercalo, il luogo; può darsi capiti un’occasione, prega…
Poi, quando hai qualcosa fra le mani, proponi… E vedremo!”.
Allora pregai e cercai il possibile luogo nel centro Italia.
Ma non avevo nessuna esperienza in merito, per cui girai a lungo a vuoto. Pensai allora al pastore Giovanni La Marca. Aveva costruito
molti bei locali di culto in Sicilia, con pochissimi soldi. Era l’uomo più capace che avessimo nel campo edilizio. Gli chiesi se era
disposto a darmi una mano salendo le scale
dell’Unione a Roma.
La risposta non fu entusiastica, “Sì, forse, non so dirti. Ma ne hai parlato con gli officer? Scrivimi una lettera e vedremo!”.
Gli scrissi una lettera treminuti dopo e gliela spedii per espresso in modo che la trovasse al suo arrivo a casa. Quando lo rividi mi disse: “Sì, avrei anche un’idea! Ho degli amici che mi hanno consigliato di esplorare una delle zone più belle d’Italia: il Casentino. Ho addirittura nome e recapito dell’amministratore dei
camaldolesi, antico ordine monastico…”.
Pochi giorni dopo ci trovammo alla Mausolea, l’antico centro operativo del ricco convento
La simpatia del pastore La Marca fu tale che a pranzo ci trovammp intorno a un fratino di quercia antica, in una sala da pranzo invasa dal profumo di arrosto e serviti da frati avvolti in candidi sai.
Tortellini in brodo come mai ne avevo mangiati; arrosti misti che solo a vederli distruggevano ogni proposito vegetariano, e torta della nonna. Poi il frate amministratore, sorpreso che avessimo scartato l’arista e il vino, tutto di loro produzione, ci portò a vedere
alcuni terreni che subito mi entusiasmarono ma non soddisfecero il pastore La Marca che me ne mostrava i limiti.
Il buon frate allora ci consigliò di cercare a Poppi il signor Fochi, il
miglior mediatore del Casentino.
Il signor Fochi era un uomo all’antica, di quando i contratti si uggellavano con una stretta di mano. Egli ci portò a vedere decine di terreni. I proprietari lo trattavano con deferenza come se fosse un’autorità.
Devo dire che il Casentino mi conquistò. Era ancora un Piccolo mondo antico. Vidi che diversi contadini aravano ancora con i buoi. Molte chiavi di casa erano nelle toppe all’esterno mentre i padroni lavoravano lontano nei campi. In ogni casa che entravi era
regolare l’offerta del vin santo e dei biscotti fatti in casa. Ed i paesaggi erano splendidi,ubertosi e verdeggianti anche in piena estate.
Non era facile trovare un terreno come lo voleva il pastore La Marca. Nella mia esperienza mi sarei accontentato facilmente, ma questo saggio pastore guardava lontano, al futuro, allo sviluppo dell’Opera. Con lui vedemmo decine di terreni, ma
nessuno lo convinceva. Ne trovammo uno che avrei preso al volo ma, la sera, egli mi spiegò con cura che: “Si è bello, ora, nell’immediato… Ma la costruzione non ha alcuna
possibilità di sviluppo; la parte pianeggiante è troppo piccola; il luogo di incontro non potrà raccogliere più di trecento persone!”. Obbiettai che: “Trecento persone sono
un’enormità, quando mai potremo metterle assieme? E La casa basta… In fondo sino ad ora abbiamo operato solo con le tende!”.
Ma il pastore La Marca mi fece capire che dovevo dimenticare i terreni dei campeggi tradizionali e pensare più in grande: a un terreno che avesse le potenzialità per ospitare incontri pastorali, famiglie, raduni universitari, incontri internazionali… Mi ripeteva:
“Dobbiamo trovare un terreno che negli anni abbia possibilità di sviluppo.
Dobbiamo avere fede nella crescita della nostra chiesa. Tanto la terra in sé costa poco; ciò che costa è il caseggiato.
Non importa se il caseggiato sarà piccolo, la cosa importante è
che intorno ci sia molta terra in parte pianeggiante e che in prospettiva si possa utilizzare d’estate ma anche d’inverno”.
All’epoca, il pastore la Marca era già in pensione ma aveva l’energia di un trentenne,
una vera forza della natura e un’abilità rara di trattare con le autorità. Era capace di camminare da mattina a sera, di trattare, di discutere… la parola stanchezza pareva assente dal suo vocabolario. Il suo vigore era pari alla sua pazienza. Mi ripeteva: “Sembra
che non abbiamo combinato niente. È vero che giriamo da diversi giorni, ma abbiamo stabilito dei rapporti, stiamo maturando ciò che ci serve… Ritorneremo. Stai tranquillo.
Troveremo ciò che ci serve qui, in questa splendida parte di Italia”.
Un giorno il signor Fochi ci portò a vedere un terreno, anzi due. Uno era sotto il cimitero di Loscove, l’altro era un podere un po’ in basso che si chiamava Casuccia.
Salendo per la strada sterrata ci mostrò la Casuccia dalla macchina con l’intento di vederla meglio al ritorno. Ma dicemmo entrambi che volevamo il terreno più in alto e che sarebbe stato quindi inutile vedere quel podere abbandonato.
Il terreno sotto il cimitero convinse me ma non il pastore La Marca che poi mi mostrò le ragioni del suo no.
La Casuccia non volevamo vederla ma il signor Fochi insistette e per fargli piacere decidemmo di vederla. Dopo pochi minuti ebbi l’impressione di sentirmi a casa mia ma non mi espressi temendo che il pastore La Marca mi gettasse addosso
l’abituale secchio di acqua gelata; perciò non dissi nulla. Ma stranamente lo vidi pensieroso come mai lo avevo visto prima.
Poi disse al signor Fochi: “Ci fosse un terreno
dove ricavare un campo da calcio, la Casuccia sarebbe ciò che cerchiamo!”
Temetti fortemente che quella possibilità non ci fosse! Il terreno era immenso. Venti ettari.Ma era scosceso, tutto terrazzato. Un tratto pianeggiante per un campo di calcio pareva proprio non esserci. Il signor Fochi però sorrise: “Ma c’è, c’è ciò che cercate,
signor La Marca. Venite con me!” Lo seguimmo per circa duecento metri e dal ciglio della strada sterrata ci mostrò in basso una splendida vigna pianeggiante:
“Ecco il vostro campo da calcio!”.
Senza farsi sentire dal mediatore, “È il nostro terreno”, mi sussurrò, finalmente sorridente, La Marca.
Poi chiese: “Quanto vogliono?”. “Quaranta milioni, -rispose il Fochi- ma bisogna far presto, anzi prestissimo!”.
Ci guardammo in faccia; era la prima volta che sentivamo una simile cifra. Tutte le altre
erano sopra gli ottanta. Solo quaranta milioni? Ma com’era possibile?
Chiese La Marca: “Perché questa fretta? E poi signor Fochi, non dite sempre così?”.
Il Fochi parve adombrarsi e, divenendo serio, rispose: “Signor La Marca, voi siete persone serie, ma sono serio anch’io. La mia parola vale una cambiale. Potete chiederlo a tutta la
valle. Faccio questo mestiere da cinquanta anni e se dico che c’è fretta, c’è fretta. Ce ne spiegò le agioni.
“Gamba lesta dunque! Ma i soldi?”
Corsi dal presidente Maggiolini: “ O Rizzo – mi rispose il
Il simpaticissimo presidente – Tu cià sempre fretta. Ma untu lo ssai che senza lilleri un si lallera? S’un ci sa i danari come lo si compera questo terreno?”
Gli spiegai che quello era l’affare del secolo; che perfino il pastore la Marca, che mi aveva denigrato ben venticinque terreni, era entusiasta; e che quaranta milioni erano una bazzecola per un terreno così bello, e presentai mille ipotesi per trovare quei soldi.
“Calma Rizzo, calma. Ora si chiama il tesoriere e si vede!”. Alzò la cornetta del telefono:
“Emmanuele, tu po’ venire costà da me, perché Rizzo cià da proporci l’affare del secolo… E stranamente cià pure fretta! Strano, vero, che cià premura?”.
Il fratello Cacciatore venne. Gli illustrai il tutto, gli dissi quanto fosse meraviglioso quel prezzo e quanto eccezionale quel prezzo.
Il Tesoriere mi ascoltò pazientemente, poi mi ricordò la mia euforia per un altro terreno che gli avevo mostrato, di cui ero stato entusiasta e che, poi, si era rivelato niente affatto
valido. Riconobbi che aveva ragione, ma che la Casuccia l’avevo trovata con il fratello La Marca e che lui condivideva tutto il mio entusiasmo.
l fratello Cacciatore divenne serio. L’argomento La Marca aveva funzionato. “Ma – mi disse – ne potremmo parlare nel
prossimo comitato che avrà luogo la settimana che viene. Prima, però, bisognerebbe vederlo!”.
“Subito – dissi raggiante – andiamo subito. In tre ore saremo lì. Un’ora per vedere il terreno.
Un’ora per mangiare, altre tre ore per tornare. Sono le nove, alle 17,00 saremo di nuovo
all’Unione!”.
“O Rizzo, calmati un pochinino; – mi canzonò il presidente – e ciò mille ‘ose daffare e poiicchè gli dico alla mi moglie che oggi m’ha preparato i’ mi piatto preferito. Fagioli!”.
“Rolando, scherzi a parte, abbiamo già degli impegni ma, se Mario è d’accordo,potremmo fare un salto domattina presto?”.
“E se il morituro-proprietario del terreno- tira il calzino?”.
“O Rizzo, o gli faranno il funerale; ma sta’ tranquillo che t’aspetta! Vuoi che questo guaio del terreno un tu ce lo tiri addosso con i problemi di bilancio che già abbiamo?”.
L’indomani sbarcammo a Casuccia. Dopo averla ben girata, al presidente e al tesoriere piacque. Ne avremmo parlato nel comitato successivo, anche se i soldi non c’erano.
In comitato presentai la cosa con tre o quattro piani finanziari per trovare i 20 milioni
mancanti. Ma nessun piano risultò convincente e alla fine della discussione il tesoriere mi disse.
“Rolando devi rassegnarti; ti prometto però una cosa, a cominciare dal prossimo bilancio,
accantoneremo ogni anno 7 milioni per il terreno. Fra tre anni lo potrai comperare”.
“Tra tre anni? Ma il padrone è moribondo; potrà restare in vita massimo due o tre mesi!”.
“Vedi che comincia a migliorare, la settimana scorsa pare che avesse a disposizione solo due o tre settimane! No, scherzi a parte, ne troverai un altro di terreno. Sai quanti ce ne saranno in vendita fra tre anni?”.
“A quaranta milioni? Anche se fra tre anni avremo quaranta milioni, il terreno allora ne costerà ottanta. Credo che lo compreremo nel Millennio!”
Sentii un dolore allo stomaco, come quando sai di avere davanti a te la donna della tua vita e qualcuno ti dice che di donne ce ne sono tante più alla tua portata! E stavo quasi
per rassegnarmi quando nel cervello mi si accese una lampadina. Sì, la Casuccia era l’amore a cui non potevo rinunciare! C’era la soluzione. Era tutta in quella frase del
Tesoriere: fra tre anni avremo accantonato 21 milioni! Chiesi la parola e il pastore Maggiolini me la diede sconsolato:
“Rizzo parla, ma i lilleri un ci sono!”
“Non è vero che non ci sono. Lei, fratello Cacciatore, ha detto che fra tre anni avremo 21 milioni? Allora se lei mi promette che fra tre anni mi restituirà i 21 milioni, allora i ventuno
milioni li anticipo io; lei me li restituisce senza interessi entro tre anni! Prendiamo il voto?”
“Fratelli – esplose il presidente, simpaticissimo come sempre – Rizzo l’è ingrullito, qui e’bisogna pregare! In doe ttu li pigli 20 milioni? Ma se tu li trovi prediamo i voto.!
Uscii di corsa dalla sala del Comitato, cercai telefonicamente il signor Fochi; gli dissi che in settimana potevamo fare il compromesso ma che cercasse di tirare giù ancora un po’ il
prezzo. Mi telefono due ore dopo dicendomi che aveva parlato con i proprietari ma che non sarebbero assolutamente scesi sotto i trentotto. Il miracolo si stava verificando, era come se avessi trovato già due milioni! Fissammo la data del compromesso ma intanto mi misi in cerca dei diciotto milioni.Telefonai a sette fratelli e sorelle che erano miei amici. Chiesi in prestito un milione senza
interessi per tre anni e ovviamente spiegai la finalità. Tutti mi dissero di sì, due mi offrirono
un milione e mezzo. Avevo già otto milioni. Ne mancavano appena dieci.
Adelio Pellegrini lavorava a Torino. Mi ricordai del lavoro che svolgeva primo di venire a
Villa Aurora. Era un impiegato di fiducia di uno dei più grandi costruttori edili dell’epoca:
l’ingegner Lodigiani! Chiamai Adelio e gli dissi se, data l’amicizia con l’ingegnere che era
rimasta e la fiducia che aveva in lui, non poteva andare a trovarlo e chiedergli una mano
per la Casuccia. Adelio mi disse che l’ingegnere era una grande persona, generosa e
affabile; sarebbe andato a trovarlo e certamente tre o quattro milioni glieli avrebbe
prestati. Ci andò, ma il vecchio imprenditore fu ancora più generoso di quanto Adelio
immaginasse: si scusò di potergli dare solo dieci milioni! E così eravamo arrivati a diciotto
milioni tondi tondi. Perciò la Casuccia fu finalmente della GA e, su mia proposta,
all’unanimità, il Comitato la intitolò a Visani che pochi mesi prima era morto in un
incidente d’auto assieme al figlioletto più piccolo, Eduard.
Mai, su questa terra, la gioia è separabile dal dolore.
Il pastore La Marca mi si mise a disposizione come un adolescente, passammo molto tempo assieme e se io fui il braccio di quel rudere abbandonato, il pastore La Marca fu la mente come lo fu in quel periodo degli inizi di Casa mia per la nascita della quale lottammo assieme contri il parere di molti, dirigenti e membri di chiesa.

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