Le donne brutte non esistono

 

Giacomo LeopardiLe donne brutte non esistono!

Domenica 2 novembre, verso le due del pomeriggio accendo Rai 2. Alcuni anni fa, a quell’ora, davano un delizioso programma sul campionato di serie A, garbato, fine, ironico che tendeva a restituire il calcio alla sua natura originale di fatto ludico sottraendolo al tifo becero: Quelli che il calcio.
Mi accorgo che lo danno ancora. Lo guardo ma è diventato altra cosa. Subisco annoiato e sonnolento un paio di scenette che dovrebbero far ridere. Poi vengono annunciate delle testimonianze sull’abbandono dei Network come Facebook e Twitter da parte dei giovani. Seguo distratto le prime due “testimonianze”, la terza mi sveglia e mi disgusta. Spengo indignato.
Di quella “Testimonianza” non ricordo tutto ma la sua sostanza non posso dimenticarla.
Dice grosso modo una ragazza “bruttina”: L’intervistatore le chiede: “Allora come fai a comunicare?” “Semplice – risponde lei – adopero il cellulare!” Alle sue parole fa seguito immediato lo squillo del suo portatile. “Ecco! – dice lei sorridente. Lo porta all’orecchio: “Si?”. Dal suo cellulare in romanesco una voce grossolana risponde: “A cessa!”
Il pubblico in sala ride e applaude, come sempre, qualunque espressione di imbecillità venga pronunciata come conclusiva.

C’è chi, guardando la TV, rimane sconvolto e indignato dai matrimoni omosessuali, dai racconti di eutanasia, dalle statistiche sul divorzio…

A me, come credente, un fatto del genere mi indigna assai più di tutte queste cose messe assieme. Per varie ragioni:
Siamo su un canale che è servizio pubblico pagato dalle tasse. Dovrebbe esprimere cultura, educazione, rispetto per le persone, belle o brutte che siano. Una cultura del vivere che solleva non deprime chi nasce più povero degli altri in qualcosa.
Ed invece da spazio ad una visione del mondo nazista. Non solo, lo fa ma arruola come collaborazionisti corrompendoli le stesse persone prese di mira che usa, deride e, nei fatti, invita a disprezzare. La ragazza “bruttina” infatti si presta e con le sue stesse parole si paragona essa stessa ad un cesso. Per apparire in Tv, per il compenso.
Se l’autore della trasmissione, che considero colpevole del reato di apologia di nazismo leggesse queste mie riflessioni (spero che le legga e mi denunci) credo avrebbe gioco facile a ridicolizzarmi presso una fetta maggioritaria dell’opinione pubblica tacciandomi di bacchettone ipocrita, di esagerato apocalittico, di ignorante che non comprende il valore addirittura catartico dell’ironia, dell’autoironia…
Ma mentirebbe sapendo di mentire.

Poiché, di nazismo culturale si tratta, anche se privo di Gestapo e campi di sterminio.
Tutte le case oggi hanno le latrine; luoghi indispensabili ma di cui mai si parla anche se nulla hanno a che vedere con gli antichi cessi. Il cesso c’è oggi come ieri, anzi, maggiori sono le possibilità economiche maggiore è il loro numero, ma non è più il rozzo e maleodorante bugliolo antico ubicato sulla ringhiera, all’esterno della casa, il cesso è diventato bagno, luogo tra i più curati, tra i maggiormente corredati da accessori pregiati, illuminate da sfavillii cromatici, da oggetti che emanano profumi, di acqua corrente a volontà. Nessuno li chiama più cessi. Il termine è usato per gli esseri umani considerati brutti dalla sottocultura nazista, consapevolmente o meno.

Esaltare la bellezza rappresentata in ogni trasmissione televisiva da rarità selezionate, levigate, spennellate, gonfiate, illuminate… E paragonarla alla bruttezza, patrimonio della maggior parte degli esseri umani è operazione nazista, perché razzista, perché esalta, promuove a valore ciò che è esteriore, ciò che è umanamente falso; ciò che è diverso dal canone ufficiale unico, perché senza vere motivazioni crea frustrazioni e infelicità vere. Poiché deprime la profondità e la verità sulla persona.
Se osservate gli esseri umani che si muovono nel reale, all’ingresso di un grande istituto scolastico, nella hall di una grande stazione all’ora di punta, per cercare una di quelle bellezze di cui la TV spazzatura soprattutto orna i suoi studi vi accorgerete che quelle realtà quasi non esistono.

Le persone vere hanno spesso caratteri graziosi ma quasi mai in un essere umano tutto è bello. Raramente al personale corrisponde il viso e raramente c’è armonia in ciò che fa l’esteriore. E, in ogni caso, le bellezze sono l’eccezione non la regola. La maggior parte degli esseri umani, se valutati secondo i canoni della pubblicità televisiva per la quale la vecchiaia non esiste (I vecchi della pubblicità della vecchiaia hanno solo i capelli bianchi) e delle bellone coccodè esibite da quasi tutte le trasmissioni di intrattenimento, sono tutti bruttini, comunque più brutti che belli.

Ma l’aspetto esteriore dice molto poco sulla persona. Che il viso sia lo specchio dell’anima è una menzogna antica ma non per questo meno menzogna. Esistono criminali maschio e femmina dal viso d’angelo, donnine minute e insignificanti che si chiamano Madre Teresa di Calcutta, gobbi deformi che si chiamano Leopardi.

Inoltre, quelle rare volte che c’è, la bellezza canonica dura poco; lo rivelano le bellone di una volta che appaiono in TV con il volto levigato delle quindicenne e con la pelle del collo e delle braccia incartapecorite.
Secondo, la sottocultura nazista, tutti diventiamo cessi. Ma è la cultura bieca, che ignora la vera bellezza dell’essere umano, che sega lo stesso ramo sul quale anche i i giovani e i belli sono aggrappati.
E’ una cultura malata che genera miti distruttivi che “contraggono la vita in quel breve arco in cui siamo biologicamente forti…Esteticamente belli, gettando nella insignificanza e nella tristezza tutti quegli anni, e sono i più, che seguono questa età felice, la quale una volta assunta come paradigma della vita declina nella forma della mesta sopravvivenza tutto il tempo che ancora resta da vivere.”

Ma, ancora peggio, dato che non tutti siamo esteticamente belli e biologicamente forti, questa cultura malata getta nell’insignificanza ogni esistenza che non sia esteticamente bella e biologicamente forte. Ossia, la maggior parte delle esistenze.
La sottocultura imperante produce la “Destrutturazione tra l’io e il suo corpo: non più veicolo per essere al mondo, ma ostacolo da superare per continuare ad essere al mondo.”

Fortuna che non l’estetica e la biologia danno la cifra dell’essere umano e le possibilità di vita piena e di felicità nella misura in cui può concepirsi su questa creazione che, comunque, per i brutti e per i belli “Geme ed è in travaglio in attesa della redenzione…”

Ciò che crea all’essere umano possibilità di gioia del vivere è piuttosto la dolcezza dei sentimenti, il desiderio di relazionalità, la ricerca comunitaria, la capacità di sognare, la voglia di sviluppare quei talenti di cui chiunque è dotato, la voglia d’amare, la memoria, la riconoscenza, l’amicizia, la meraviglia…
Anni fa ho avuto il privilegio di conoscere un trentenne bresciano, Flavio Emmer, l’unica parte del suo corpo normale era la testa, solo la testa. Dal collo in giù nulla era pienamente funzionante. Ho passato con lui un pomeriggio; l’ho invitato a Villa Aurora. Quella sera fu portato a braccia sul podio come un neonato. Eppure raramente in vita mia ho incontrato tanta bellezza, tanta capacità di rendere magico il tempo.
Ho vissuto trenta anni a Villa Aurora, due a Collonges, per circa quindici anni mi sono occupato di gioventù e in tutto il resto del mio impegno pastorale sono stato e sono in costante contatto con i giovani.
Ho visto molti amori nascere, svilupparsi, crescere e qualcuno morire. Incontro sovente molte coppie che ho visto innamorarsi adolescenti e oggi vivere al centro di famiglie sviluppate, realizzate, felici per quanto è possibile su questa terra.
Non è mai l’estetica che ha prodotto di più e di meglio. Anzi, al contrario. La maggior parte delle coppie riuscite sono persone del tutto normali, cioè “bruttine” in rapporto ai canoni imperanti.

Ho visto ragazze assai belle sposare ragazzi “bruttini” ed anche il contrario. Tutto questo appare a volte strano. C’è chi a volte si chiede: “Come che X, alto, snello, insomma, un bel ragazzo, abbia sposato Y bassa, cicciotta…?” E ovviamente il contrario. Poi li frequenti e ti accorgi che continuano ad amarsi, a sentirsi fortunati l’uno dell’altro. E che sono belli entrambi della stessa bellezza. Ho visto vecchi tenersi per mano come fidanzatini dopo sessanta anni passati assieme nel lento disfacimento del corpo.
Nel quartiere dove abito vedo ogni giorno una coppia sessantenne che esce di casa sempre per mano, sempre sorridente, ambedue “bruttini” assai secondo i canoni nazisti, ma belli, tanto belli.

La verità è che le categorie imposte dalla cultura del consumo, che ha bisogno di frustrati che comperino tutto ciò che può ridurre il gap tra i falsi modelli e la realtà, sono categorie false poiché nessuna donna è brutta come nessun uomo. La bellezza è patrimonio di tutti e non è mai ciò che appare ma ciò che si è.

A questo punto, mi piace riprodurre dal romanzo di un autore quasi sconosciuto un dialogo vero tra un vecchio strano prete e un giovane pastore avventista:

Rise.
<No, lei mi da fiducia e lei è strano come me; sono molto vecchio e un fortissimo fiuto per gli uomini è tra le poche cose che mi restano. Le sa che i cani sentono gli odori diecimila volte più sottili di quanto possa sentirli l’essere umano; ecco, io come prete sono un cane, ma dal fiuto sottile. Sento che di lei posso fidarmi. Lei è persona complicata ma onesta. E poi, io sono cattolico, ma non romano.>

<Si, don Secondo, sono un pastore Avventista.>
<Ah, conosco bene; grande cosa l’Avventismo, se non ci fossero gli avventisti! – ridacchiò mostrando i suoi quattro indecenti denti gialli – Anche se non sono tutti uguali. Sa che stavo per diventare Avventista?>
<Davvero? E quando? E come?>

Ridemmo assieme.
Mi fece vedere i libri, mi spiegò come erano classificati e poi mi congedò sulla porta stringendomi la mano. Lo volli lasciare con una battuta:

<E, si, poverine, più d’una.>

<No, don Secondo, nessuna è zitella. Anzi, un paio di zitelle ci sono, ma non sono brutte!>

<bah! Normali; qualcuno è anche un bell’uomo.>

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