Il Nulla e l’incanto – Nimicul si incantarea – il perché di questi brandelli d’anima

 

NimiculDa giovane ho partecipato per due anni consecutivi, come poi è accaduto soltanto una volta ancora, ad un concorso di poesia. Lo aveva organizzato don Luigi Stefani, un prete di origini dalmate che negli anni Sessanta-Settanta fu uno dei principali animatori culturali di Firenze. In centro, a due passi dal Duomo, nella minuscola piazzetta del Giglio, aveva fondato “Lo Sprone” un straordinario centro culturale. Oltre che Galleria d’arte, “Lo Sprone” animava numerose iniziative, tra cui un Concorso poetico a tema che aveva una minuscola giuria ma di eccelsa qualità. La componevano: Mario Luzi, forse il più grande poeta italiano del dopoguerra, poi Carlo Betocchi e Nicola Lisi.
Nel 1969 inviai una mia poesia che si classificò quinta. Ricevetti il telegramma mentre disputavo una partita di calcio nel “Poggi e Buche” di Villa Aurora. Festeggiammo tutti come un gol ai mondiali. La composizione venne letta dallo stesso don Stefani nella piazzetta del Giglio, piena come un uovo, da parte importante della Firenze della politica e della cultura. Al centro, sorridente e chiassoso, c’era il mitico sindaco dell’alluvione: il famoso scrittore Piero Bargellini.
Avevo venticinque anni. Ma culturalmente ero un infante. Avevo superato le scuole medie inferiori solo due anni prima.
Mi dettero una medaglia d’oro, la poesia stampata e un diploma. Lessi i nome dei giurati ma non sapevo minimamente chi fossero. Per me i poeti erano Pascoli, Carducci, Ada Negri… Regalai il diploma a mia madre.
Nel 2003 organizzai a Villa Aurora una serie di incontri culturali e volli tentare di organizzare un Recital di poesie di Mario Luzi. Ottenni il suo telefono, gli chiesi un colloquio che gentilmente mi concesse e lo invitai a Villa Aurora. Accettò l’invito e fu una serata memorabile. Non ricordavo minimamente che aveva premiato una mia poesia. Me ne accorsi quando mia madre morì e ripresi il diploma, ma anche Mario Luzi nel frattempo era appena morto.

Da quella prima poesia è passato molto tempo, ho scritto tante cose. Ho, a mia volta, fondato un premio di poesia nei primi anni del mio ministero. Ho accettato di far da giurato in Concorsi poetici. Eppure, faccio sempre molta fatica a valutare un componimento poetico. A valutare le poesie degli altri, come le mie. Tranne le cose visibilmente ridicole o quelle eccelse, mi rimane difficilissimo scegliere un componimento tra altri e valutarne il valore.
E’ il motivo per cui ho pubblicato di tutto, ma mai una mia raccolta di poesie. Non so davvero se esse valgono o meno qualcosa.
Perché decidersi di pubblicare questa raccolta, allora?
Il motivo è semplice: tutte le volte che le ho lette in pubblico ho sempre ricevuto richieste dei testi, da persone semplici e da persone colte. Ho visto ogni volta persone commuoversi. Ho ricevuto sempre ringraziamenti sentiti.
Inoltre, forse la goccia che ha fatto traboccare il vaso della convinzione, mi è venuta da un’amica che mi ha mostrato dei versi che avevo completamente dimenticato e che lei, ogni tanto, da venti anni, ama rileggere.
Allora mi son detto che i miei versi, a prescindere dal loro valore artistico, fanno del bene e sarebbe un peccato farli morire.

Ho voluto farli tradurle in rumeno. Perché?
Scrivo per amore, per dovere civile. L’emigrazione è una ricchezza dolorosa del nostro tempo. Sono un emigrante. Lo sono sempre stato. La mia patria è la valle del Pesco a Rossano Calabro, Il mulino sul Colognati, è il mondo contadino degli anni 50. Sono figlio e nipote d’emigranti. Appartengo alla razza umana che da sempre e tutta anela ad una vita dignitosa e la cerca dove può trovarla.
Amerei tradurre ciò che scrivo in tutte le lingue del mondo. Scelgo come simbolo il rumeno. Ho servito comunità rumene come pastore per alcuni anni. L’orizzonte culturale della Romania avventista è forse il più distante dal mio. Ma scelgo di simbolicamente offrire brandelli d’anima ai fratelli rumeni nella consapevolezza che, al di là delle differenze, rimaniamo razza umana, che abbiamo bisogno di dialogare sempre, razza emigrante tutta e sempre, sino alla terra promessa.

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